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Le Meteore

Polvere di Stelle


Indice Argomenti:


  • Cenni Storici
  • Osservazioni Amatoriali
  • Riprese Fotografiche
  • Analisi Dati
  • Le Immagini
  • Una delle tante e straordinarie meraviglie del cielo stellato sono quel fenomeno popolarmente noto come Stelle Cadenti. Si possono ammirare in qualunque notte dell'anno, basta avere un poco di fortuna e di armarsi di molta pazienza in quanto non si tratta di un fenomeno prevedibile ma assolutamente casuale. In certi periodi dell'anno, però, le probabilità di avvistarne qualcuna aumentano notevolmente, in qualche raro caso si possono arrivare a contarne anche alcune centinaia per notte. Particolarmente favorevoli, per alcuni motivi che andremo ora a spiegare, sono i giorni dal 10 al 13 agosto, il 4 gennaio, la seconda metà di novembre e la metà circa del mese di dicembre.
    Nella sua orbita intorno al Sole la Terra incontra una notevole quantità di microscopici frammenti di materiale, ovvero piccole rocce e polveri finissime che orbitano per proprio conto intorno al Sole e risiedono nella nostra parte più interna del Sistema Solare; quando una di queste particelle viene attratta dalla gravità del nostro pianeta ed entra a contatto con la nostra atmosfera, brucia rapidamente, consumandosi completamente e diventa visibile ai nostri occhi sotto forma di una rapidissima scia luminosa nel cielo.




    La particella e' diventata una meteora. Quasi tutto il materiale che entra nella nostra atmosfera si consuma completamente molto prima di poter arrivare al suolo, normalmente tra una quota tra i 120 e i 90 km; questo è dovuto sia alla piccola massa di queste particelle e sia per l'elevata velocità di entrata nella nostra atmosfera, che può arrivare anche a valori di 70 km/sec. I corpi più grandi, dell'ordine di qualche centimetro di diametro, sono abbastanza rari e quando bruciano nella nostra atmosfera generano scie molto brillanti, talvolta più luminose di come appare il pianeta Venere visto a occhio nudo oppure, in casi ancora più rari, in grado di illuminare il paesaggio come potrebbe fare la Luna Piena; questi oggetti sono chiamati bolidi. Ancora più rari sono poi quegli oggetti di massa considerevole che la nostra atmosfera non riesce a consumare del tutto e che possono arrivare addirittura a impattare con la superficie terrestre: in questo caso l'oggetto viene chiamato meteorite.
    Definendo in maniera rigorosa, la particella viene chiamata meteoride quando entra nella nostra atmosfera, subendo una notevolissima pressione dinamica che ne riscalda la superficie; ciascun urto con le molecole d'aria libera una certa quantità di energia termica e, a un certo punto, la temperatura del corpo raggiunge circa i 2.500 K (gradi KelvinIl Kelvin (simbolo K) è un'unità di misura della temperatura che appartiene alle sette unità base del sistema internazionale di unità di misura e la sua materia comincia a sublimare. Proseguendo nella sua caduta si avvia un processo noto come ablazione Con "ablazione" si definisce il processo di rimozione di materiale dalla superficie di un oggetto mediante processi di vaporizzazione ed erosione; il termine si trova spesso in fisica spaziale associato con il rientro in atmosfera.: il meteoroide inizia a perdere progressivamente massa, lasciando dietro di sè gocce di materia fusa. Gli atomi del meteoroide e le molecole atmosferiche, a causa degli urti reciproci, si ionizzano; la radiazione emessa nella banda del visibile deriva per il 90% dai processi di ablazione del corpo e per il resto dalla ricombinazione elettronica dei gas atmosferici eccitati. Dal suolo un osservatore vedrà quindi una scia luminosa, quella che viene chiamata "meteora". Una meteora è quindi composta di due parti: la testa e la scia: la testa della meteora contiene il meteoroide in progressivo disfacimento avvolto da gas ionizzati, mentre la scia è una lunga colonna di plasma, visibile solo per qualche secondo. Il meteoroide può essere anche formato da detriti spaziali generati dall'uomo durante le numerose spedizioni orbitali o da satelliti danneggiati da impatti con altri corpi, ma anche da parti dei serbatoi dei razzi o da semplice spazzatura spaziale.


    Nell'immagine a fianco sono rappresentati alcuni grafici sintetici: nel primo a sinistra si può stimare la quantità media di meteore giornaliere più brillanti a seconda della rispettiva altezza di inizio e fine. Come già spiegato uina meteora inizia a essere visibile quando inizia a bruciare nell'atmosfera e scompaioni quando sono completamente consumate. La maggior parte delle meteore più brillanti terminano la loro effimera vita a una quota di poco inferiore ai 50 km.
    Nel diagramma centrale sono invece riportate le altezze medie di inizio e fine visibilità di meteore appartenenti a vari sciami meteorici, di cui si parlerà a breve. Queste diversità possono essere il riflesso di diverse composizioni chimiche e strutture tra le diverse particelle dei vari sciami, collegabile alle loro diverse origini.
    Infine, nel grafico più a destra, si vede come la maggior parte delle meteore osservate abbia una magnitudine media intorno alla +4m, ovvero al limite della visibilità a occhio nudo. Tale fatto, oltre ad avere una indubbia rilevanza statistica, ha delle importanti conseguenze pratiche per quello che riguarda l'attività di osservazione amatoriale, sia visuale che fotografica.


    In alcuni periodi dell'anno la Terra attraversa delle zone di spazio dove la concentrazione di materiale è superiore al normale; queste "nuvole" di pulviscolo interplanetario e piccole rocce sono i residui lasciati da alcune comete o asteroidi durante i loro passaggi nelle regioni più interne del Sistema Solare, dove si trova la Terra. Affinchè questi incontri possano realmente verificarsi, il nostro pianeta deve trovarsi a non più di 0,15 AU (Unità Astronomiche) dalla corrente di detriti cometari, ovvero poco più di 22 milioni di km; quando questo accade si genera quello che viene chiamato sciame di meteore, dove si può assistere a una notevole quantità di eventi meteorici in brevi intervalli di tempo; dato che tutte le particelle che compongono ogni nuvola o corrente di detriti condividono orbite simili e hanno medesime velocità orbitali, l'effetto per un osservatore a terra è quello di vedere tutte queste meteore che sembrano irradiarsi da un medesimo punto nel cielo: tale punto viene chiamato radiante dello sciame di meteore. Si conoscono molti sciami di meteore, ognuno attivo in diversi periodi dell'anno e ognuno associato ad una particolare cometa o asteroide; alcuni sciami sono molto attivi, ovvero sono composti da una notevole quantità di materiale e quindi generano un gran numero di meteore. Tra questi sono particolarmente rimarchevoli le Quadrantidi di inizio gennaio, le Perseidi in agosto, popolarmente note anche come le "Stelle Cadenti di San Lorenzo" o "Lacrime di San Lorenzo", le Leonidi in novembre e le Geminidi nel mese di dicembre.
    A destra una ricostruzione schematica dell'incontro del nostro pianeta con una di queste "nuvole" di materiale interplanetario, in particolare quello residuale del passaggio al perielio della cometa Swift-Tuttle, che genera poi lo sciame meteorico delle Perseidi di metà agosto.


    Lo sciame meteorico attivo nel periodo dei prima decade di agosto, corrispondenti alle festività religiose cattoliche in onore di San Lorenzo, è chiamato "Sciame delle Perseidi", in quanto il punto di irradiazione di questo sciame si trova all'interno della costellazione di Perseo. Il punto di irradiazione, chiamato "radiante", è quella ristrettissima zona di cielo da dove sembrano provenire tutte le meteore del medesimo sciame e corrisponde al punto di contatto dell'atmosfera terrestre con la nube di polveri interplanetaria. Le prime osservazioni documentate dello sciame delle Perseidi si deve agli astronomi cinesi nel 36 d.c., fu però solo nel 1866 che l'astronomo italiano Giovanni Virginio Schiaparelli riuscì a dimostrare la correlazione tra queste meteore ed il materiale lasciato lungo la sua orbita dalla cometa Swift-Tuttle durante il suo precedente passaggio in prossimità del Sole nel 1862.






    Storia delle Osservazioni di Meteore

     


    Le prime registrazioni di osservazioni di meteore risalgono al 36 D.C. ad opera degli astronomi cinesi, si trattava esattamente delle meteore appartenenti allo sciame delle Perseidi. Già gli Indiani d'America le chiamavano "stelle cadenti" e l'idea che si trattasse effettivamente di stelle che cadevano dal cielo era abbastanza diffusa tra diversi popoli e culture del mondo antico, tuttavia gli studiosi più attenti avevano già osservato che nessuna stella sembrava mancare dopo l'avvistamento di una stella cadente o di uno sciame. Alexander von Humboldt14/09/1769 - 06/05/1859. Naturalista, geografo, esploratore e botanico tedesco i cui lavori hanno ispirato molti famosi scienziati e scrittori come Charles Darwin e Edgar Allan Poe., uno dei più famosi tra i geografi e gli esploratori vissuti tra il XVIII e il XIX secolo, ancora nel 1845 dubitava dell'origine extraterrestre delle meteore: egli aveva assistito, il 12 novembre 1799 nel corso di una spedizione di ricerca nell'America del Sud, all'apparizione dello sciame meteorico delle Leonidi; si pensava però più che altro che si trattasse di un fenomeno collegato all'atmosfera, anche attraverso delle interazioni con cariche elettriche. In realtà fin dal 1798 sia Heinrich Wilhelm Brandes27/07/1777 - 17/05/1834. Astronomo, fisico e meteorologo tedesco: scrisse una grande quantita' di testi matematici e pubblicò le prime carte meteorologiche nel 1820. È considerato il fondatore della meteorologia sinottica e dimostrò che le meteore non erano un fenomeno atmosferico. che Johann Friedrich Benzenberg05/05/1777 - 08/06/1846. Fisico e geodeta tedesco, si occupò in maniera intensa per la costituzione di un catasto urbano ed aveva realizzato un suo proprio osservatorio astronomico presso la sua abitazione. Dimostrò che le stelle cadenti erano visibili ad un'altezza di 90-110 km. avevano già dimostrato in maniera inequivocabile che le meteore erano un fenomeno completamente esterno alla nostra atmosfera, anche grazie ad osservazioni contemporanee effettuate da due diverse località nei pressi di Gottingen (Germania). Riportando su una mappa stellare la traiettoria di una meteora così come era stata osservata dalle due differenti locazioni, si era notato un netto spostamento rispetto alle stelle fisse dello sfondo, fenomeno chiamato parallasse Fenomeno per cui un oggetto sembra spostarsi rispetto allo sfondo se si cambia il punto di osservazione; con il termine parallasse si indica il valore dell'angolo di spostamento.. Nota la distanza tra i due luoghi di osservazione e misurando la parallasse fu possibile quindi calcolare l'altezza della meteora e dimostrare che essa aveva consumato la sua traiettoria ben oltre la parte più densa della nostra atmosfera e che la sua provenienza era sicuramente extraterrestre. Alla medesima conclusione era anche arrivato un altro fisico tedesco, Ernst Chladni 30/11/1756 - 03/04/1827. Fisico tedesco che diede un grande contributo alla fisica moderna soprattutto per il suo lavoro di ricerca sulle lastre vibranti e sul calcolo della velocità del suono attraverso differenti gas. Fu uno dei primi ad affermare sull'origine extraterrestre delle meteore ed è considerato uno dei pionieri della ricerca sulle meteoriti, nonché fondatore della Meteoritica. nel 1794 con la pubblicazione di un suo libro sull'origine del ferro nelle pallasitiUn tipo di meteoriti ferro-rocciose composte da cristalli di olivina in una struttura metallica formata da una lega di ferro-nichel. Le pallasiti sono tra le meteoriti esteticamente più belle e apprezzate, i cristalli sono trasparenti e di norma di dimensioni attorno al centimetro per il quale fu inzialmente molto criticato
    Nel 1846 l'astronomo italiano Giovanni Schiaparelli14/03/1835 - 04/07/1910, Astronomo, ingegnere e storico della scienza. È considerato uno dei più grandi astronomi italiani e fu anche senatore del Regno d'Italia. dimostrò poi che gli sciami meteorici erano associati alle comete, da cui si sono originati, stabilendo una relazione diretta tra la cometa periodica 55P/Tempel-Tuttle e lo sciame meteorico delle Leonidi di cui è quindi progenitrice: la cometa era stata scoperta tra la fine del 1865 e l'inizio del 1866, anche se era stata già stata osservata nel 1699 da Gottfried Kirch18/12/1639 - 25/07/1710. Astronomo tedesco scoprì una cometa nel 1680, alcuni ammassi stellari e le variazioni luminose della stella Mira nella costellazione della Balena (Cetus). ma non era stata riconosciuta la sua periodicità, attualmente nota con il valore di 33 anni; l'orbita di questa cometa interseca quasi esattamente l'orbita della Terra, quindi tutte le polveri emesse dalla cometa durante i suoi passaggi al perielio e che formavano la sua coda vengono perse e rimangono su orbite molto vicine a quello dell'oggetto genitrice. Quando la Terra attraversa ogni anno quella zona di spazio, le polveri vengono raccolte dal nostro pianeta e si verifica una sorta di "pioggia" di meteore, intorno al 17 novembre; ogni 33 anni poi avviene una vera e propria "tempesta" di meteore, perché la cometa è appena passata al perielio e la scia creata è molto più densa. L'ultimo di tali eventi è avvenuto nel 1998 e il prossimo è previsto per il novembre del 2031.
    In realtà in seguito si è scoperto che alcuni sciami meteorici possono essere associati anche ad asteroidi, come nel caso delle Quadrantidi che risultano generate dall'asteroide provvisoriamente classificato come 196256 (2003 EH1) in quanto scoperto solo nel 2003. Questo oggetto, non più grande di 4 km, è uno di quegli oggetti che transitano vicino alla Terra, classificato quindi come oggetto Near-EarthAbbreviato in NEO sono tutti quegli oggetti la cui orbita interseca o si avvicina molto a quella del nostro pianeta e dovrebbe essere in realtà il residuo di un'antica cometa, osservata circa 500 anni fa dagli astronomi cinesi, e poi disintegratasi. Anche le Geminidi sono associate ad un asteroide, in questo caso 3200 Phaethon scoperto nel 1983 e avente un diametro di circa 5 km.


    Qui a destra una illustrazione grafica del procedimento utilizzato da Brandes e Benzenberg per determinare a quale altezza rispetto al suolo si trovasse una meteora nell'istante in cui brucia nell'atmosfera e diventa visibile. I due osservatori, posti in due posizioni diverse del territorio, osservano la stessa meteora nello stesso istante: riproducendo la traccia meteorica su una carta stellare e confrontando le due tracce secondo le due diverse prospettive, è possibile calcolare l'angolo sotteso dalla meteora stessa e calcolare, tramite alcune semplici formule trigonometriche, la sua altezza. I due scienziati si accorse che l'altezza era troppo elevata per poter attribuire il fenomeno a semplici effetti atmosferici.











    L'Osservazione Amatoriale delle Meteore

     

    L'osservazione delle meteore è uno dei campi privilegiati dell'attività degli astrofili, specie di quelli che non sono in possesso di strumentazioni sofisticate: in effetti un programma osservativo sulle meteore necessita, di base, solo degli occhi dell'osservatore e di alcune carte celesti; tuttavia non ci si deve far ingannare dall'apparente semplicità: il fatto che non vengano usati strumenti molto complicati non significa necessariamente che l'osservazione visuale delle meteore a scopi scientifici sia un'attività modesta e da trattare superficialmente. In effetti essa è in grado di fornire risultati scientificamente rilevanti: permette di stabilire, primo tra tutto, quale sia la densità spaziale dei meteoroidi incontrati dalla Terra durante il suo moto di rivoluzione e l'eventuale variazione di questa nel tempo; si possono poi ottenere, mediante un numero di osservazioni abbastanza elevato e protratte nel tempo, informazioni sulla distribuzione e sull'evoluzione degli sciami meteorici associate a comete. Esiste inoltre l'effettiva possibilità di scoprire nuovi sciami. Estremamente importanti sono anche le analisi sulla distribuzione delle luminosità, intese mediamente come masse, in rapporto al numero di meteore rilevate; inoltre anche lo studio delle caratteristiche dei bolidi brillanti e, ove possibile, il calcolo della traiettoria atmosferica e degli elementi orbitali sono di grande rilevanza. Infine ma non certo per ultimo, la verifica dell'eventuale caduta di meteoriti, l'individuazione dei corpi meteorici stessi e la catalogazione delle nuove zone di caduta hanno una fondamentale valenza scientifica. Un beneficio diretto per l'astrofilo che si impegna in questa attività osservativa sarà quello di acquisire una conoscenza sempre maggiore della volta celeste, con le sue costellazioni e le stelle principali di cui sono composte.
    La tecnica osservativa è anch'essa piuttosto semplice: risulta sufficiente coprirsi adeguatamente, scegliere una postazione comoda, come una sdraio o una sedia da giardino reclinabile, munirsi di qualche mappa celeste e scegliere una zona di cielo da osservare. Scegliere una singola zona di cielo, grande quanto il proprio campo visivo, è infatti preferibile allo spaziare lo sguardo su tutta la volta celeste: si aumentano le probabilità di osservare le meteore, soprattutto quelle piu' deboli, e si può identificare meglio la loro traiettoria rispetto alle stelle; visto che poi più osservatori possono coprire diverse zone del cielo, è assolutamente favorita l'osservazione di gruppo.
    La scelta della zona di cielo è importante ma non fondamentale: le meteore sono infatti un fenomeno assolutamente imprevedibile e può capitare di vederle in un qualunque punto della volta celeste; le zone comunque che possono risultare più favorite sono quelle che si trovano da 30 a 45 gradi circa dal punto di un qualsiasi radiante attivo in quel periodo, in quanto si avranno maggiori probabilità di osservare scie meteoriche abbastanza lunghe; più vicino al punto di irradiazione delle meteore le scie saranno molto più corte e di difficile individuazione.
    Una volta iniziata l'osservazione sarà necessaria una notevole dose di pazienza: potranno passare anche molti minuti prima di poter vedere una meteora, anche se a volte ne potranno comparire anche due o tre nel breve lasso di tempo di qualche secondo. La visibilità della scia luminosa della meteora è un fenomeno che dura solo una frazione di secondo, quindi bisogna essere sempre pronti, vigili e non perdere mai l'adattamento al buio; evitare quindi la presenza di fonti luminose troppo forti e schermare quelle assolutamente indispensabili con panni o filtri di colore rosso.
    La mappa della zona di cielo osservata sarà utile per identificare stelle e costellazioni e aiuterà nell'identificare la traccia della meteora; si potrà quindi capire dalla direzione se l'oggetto osservato appartenga o meno allo sciame presente in quella notte. Tracciare sulla mappa celeste la scia della meteora, cercando di riprodurre il più fedelmente possibile la lunghezza osservata, con i punti nel cielo di inizio e fine, rappresentarà in maniera grafica sia la direzione sia la lunghezza della scia accompagnandola con un numero progressivo; in un foglio a parte si dovrà registrare lo stesso numero con l'ora, minuti e secondi di quando si è osservata la meteora e una valutazione della sua luminosità rispetto ad alcune delle stelle presenti nel campo di vista.





    Oltre alle osservazioni di gruppo si può anche pensare di organizzare due o più stazioni osservative con altrettanti gruppi di lavoro: ogni gruppo lavorerà in maniera indipendente, avendo cura però sia di identificare aree di cielo comuni da osservare sia di regolare correttamente i tempi delle osservazioni, oltre naturalmente ad avere un orario di riferimento comune. Tracciando le scie delle meteore delle cartine e annotando gli istanti di avvistamento, nonché la luminosità di ogni scia, sarà poi possibile eseguire una triangolazione: grazie ad alcune semplici formule trigonometriche si potrà risalire all'altezza rispetto al suolo della scia, con il punto di entrata nell'atmosfera e la direzione effettiva: da questo sarà non solo possibile risalire ad eventuali punti di impatto, nel caso di meteoriti, ma anche ricostruire l'orbita originale del frammento di polvere interplanetaria che aveva generato la meteora e quindi stabilire, con un buon margine di accuratezza, la sua appartenza o meno a un particolare sciame o se risultava comunque associabile a qualche cometa o asteroide.
    Le stazioni osservative dovranno essere distanti qualche decina di km, per avere una base di riferimento sufficientemente ampia da poter apprezzare le differenti angolazioni su cui le scie si proiettano sulla volta celeste.





    Per iniziare in maniera adeguata l'osservazione delle meteore è necessario seguire un programma specifico: in Italia la Sezione Meteore dell'Unione Astrofili Italiani (UAI) ha un ottimo piano di lavoro ed è guidata con competenza ed esperienza da appassionati conosciuti a livello internazionale; la fonte di riferimento a livello mondiale è però l'International Meteor Organization (IMO) con centinaia di osservatori attivi sparsi in tutto il mondo. Anche la stessa Sezione Meteore dell'UAI collabora attivamente con l'IMO e utilizza le sue carte celesti. Il primo passo è proprio quello di dotarsi delle carte celesti dell'IMO, fondamentali per il lavoro dell'osservatore di meteore: si tratta di carte in proiezione gnomonica che riproducono abbastanza fedelmente il campo visivo dell'occhio umano con le relative distorsioni periferiche; queste mappe sono definite come a proiezione gnomomicaLa proiezione gnomonica mostra tutti i cerchi massimi come linee rette, perciò la distanza più breve tra due punti corrisponde a quella segnata sulla mappa..
    Le mappe in proiezione gnomonica sono particolarmente adatte per l'osservazione delle meteore, in quanto tutte le tracce meteoriche possono essere disegnate come linee rette, e non come sezioni di archi; queste mappe sono anche particolarmente utili per determinare la posizione dei radianti. Le carte sono in totale dodici e insieme costituiscono lo GNOMONICKY ATLAS BRNO 2000 il cui autore è Vladimir Znojil.
    Una volta in possesso di queste carte celesti diventa solo necessario iniziare le osservazioni: si sceglie un settore di cielo libero da ostacoli naturali o artificiali, quanto più possibile lontano dai centri abitati per diminuire l'inquinamento luminoso e poter vedere il maggior numero di stelle possibili, ci si copre adeguatamente e si sceglie una posizione comoda per poter osservare in maniera prolungata e riposante, usando per esempio una sedia a sdraio; a completamento dell'attrezzatura di base troviamo una lampadina tascabile schermata di rosso, i moduli osservativi, un orologio, gomma e matita. È fondamentale che il settore di cielo scelto possa essere abbracciato con una singola occhiata, senza che sia necessario distogliere lo sguardo: mantenere fissa l'attenzione su una determinata zona del cielo senza voltare la testa in altre direzioni aumenta la capacità percettiva dell'occhio e farà vedere più stelle e un numero molto maggiore di meteore, anche quelle più deboli. Ogni volta che si avvisterà una meteora, che avrà una durata in media di una frazione di secondo, bisognerà annotare sul modulo osservativo il numero progressivo, l'ora dell'avvistamento, la sua luminosità apparente, eventualmente anche il colore se è stato percepito e una stima della velocità relativa, secondo un semplice schema che prevede quattro stati possibili: molto veloce, veloce, media, lenta e molto lenta; sinteticamente espressi secondo la notazione VV, V, M, L e LL rispettivamente.
    Qui in alto è riprodotta una delle carte gnomoniche dell'IMO, questa in particolare centrata sulle costellazioni di Cassiopea e Perseo. Sono riportate anche le magnitudini di alcune stelle da utilizzare come confronto per la stima della luminosità delle meteore.




    La direzione e lunghezza apparente di ogni meteora registrata verrà riportata sulla carta celeste e identificata univocamente dal suo numero progressivo. È chiaro che le prime registrazioni saranno alquanto approssimative; in effetti in questa attività osservativa l'esperienza gioca un ruolo chiave, tuttavia non ci si deve scoraggiare se nelle prime sessioni si avranno delle difficoltà: ripetendo più volte l'osservazione con la medesima metodologia e condizioni, ben presto il settore di cielo osservato diventerà molto familiare e sarà, progressivamente, sempre più facile riportare sulla carta celeste le traiettorie delle meteore riferite alle stelle di campo. La valutazione della luminosità è un altro dato importante e viene espresso in termini di differenza con la luminosità delle stelle presenti nel campo visivo: le carte dell'IMO riportano, per alcune stelle, le magnitudini apparenti visuali e mediante un procedimento di interpolazione è possibile valutare la luminosità di una meteora e arrivare, con un poco di esperienza, a stimarla con un grado di precisione di circa 0,5 magnitudini. Sempre con riferimento alle magnitudini, una variante delle carte dell'IMO sono quelle in cui sono aggiunte le cosiddette "Selected Areas", ovvero delle zone circoscritte, di forma più che altro triangolare, che vengono utilizzate per determinare la magnitudine apparente limite, ovvero la luminosità apparente della stella più debole che è possibile osservare in un dato momento della notte. È sufficiente quindi contare le stelle visibili all'interno di una delle aree selezionate e, grazie a delle opportune tabelle pubblicate dall'IMO, sarà possibile ricavare il valore della magnitudine limite; queste misure vanno ripetute a intervalli regolari durante l'intera sessione osservativa e annotate sul modulo di raccolta dati, in quanto di fondamentale importanza nella succesiva fase di riduzione e analisi dei dati.
    Qui a lato la medesima carta gnomonica vista nell'immagine precedente ma con l'aggiunta delle "Selected Areas" identificate numericamente e utilizzate per determinare la magnitudine limite durante la sessione osservativa. Contando le stelle visibili all'interno di una delle aree, si può stimare con buona approssimazione la magnitudine della stella più debole visibile in quel momento in quella regione del cielo; vanno utilizzate delle apposite tabelle di riferimento pubblicate dall'IMO.
    Se, ad esempio, all'interno dell'area 2 vengono contate 6 stelle la magnitudine limite sarà pari a 5,0, contando 10 stelle la magnitudine limite arriverà invece a 5,6.





    Le osservazioni possono essere svolte anche solamente durante i periodi di visibilità dei maggiori sciami meteorici, seguendo i calendari annuali pubblicati sia dall'UAI che dall'IMO; ogni sciame è attivo in un determinato periodo dell'anno per periodi variabili da poche settimane a pochi giorni e presentano tutti un giorno particolare in cui si registra un massimo di attività: in quel giorno si potrà osservare il massimo numero di meteore associate a quel determinato sciame ma saranno comunque sempre presenti altre meteore non associate ad alcun sciame. Queste ultime meteore sono chiamate sporadiche e rappresentano la polvere interplanetaria statisticamente stabile in prossimità dell'orbita terrestre. Durante una sessione osservativa, se condotta in un periodo di attività di uno sciame particolarmente attivo e ricco di meteore, si potrà evitare di annotare sulla carta celeste le meteore appartenenti a quello sciame e disegnare solamente le sporadiche: questo permette di risparmiare tempo che sarebbe invece sottratto all'osservazione. Resta invece obbligatorio indicare, per tutte le meteore, gli altri parametri osservati sul foglio di raccolta dati, in particolare la luminosità





    È fondamentale anche indicare i periodi di inizio e fine osservazione, se sono state fatte delle pause e il cosiddetto "tempo morto" medio, ovvero il tempo necessario a trascrivere le informazioni sul modulo di raccolta dati e sulla carta celeste; vedremo a breve come tutte queste informazioni, in aggiunta ad altre, saranno utili per poter effettuare alcuni calcoli e ricavare importanti valori. Si era precedente affermato che si può scegliere una qualunque regione del cielo da tenere sotto osservazione, tuttavia ci sono alcune condizioni che possono limitare o vincolare le proprie scelte: innanzi tutto la scelta delle carte IMO è abbastanza limitata, per cui se si vuole fare riferimento a esse sarebbe meglio preferire una parte della volta celeste posta al centro di una delle carte; inoltre, osservando in un periodo di attività di uno sciame, sarebbe sempre buona norma scegliere una zona di cielo che si trova dai 20° ai 40° di distanza dal centro del radiante: si avranno maggiori probabilità di avvistare meteore con una scia sufficientemente lunga.
    A fianco la riproduzione di in modulo per la raccolta delle osservazioni della Sezione Meteore dell'UAI; le informazioni richieste permettono di ricavare una serie di dati fondamentali per una corretta riduzione ed analisi dei dati. Ogni sessione osservativa può essere interrotta più volte, a patto di indicare i periodi di interruzione al fine di ricavare il tempo effettivo di osservazione. La magnitudine limite deve esssere stimata più volte durante la notte e ogni meteora deve essere descritta con il suo numero progressivo più tutti i dati già precedentemente indicati, compresi i codici identificativi della velocità relativa presenta, ovvero VV, V, M, L, LL. Altri dati che possono risultare utili sono la presenza o meno di scia persistente e lo sciame a cui appartiene la meteora. Il modulo va completato con il nominativo dell'osservatore, la località in cui si è svolta l'osservazione e l'indicazione di eventuali ostacoli naturali o artificiali lungo la linea di vista dell'osservatore, compresa l'eventuale parziale copertura da parte delle nuvole.





    Se si osserva direttamente in direzione del radiante le tracce delle meteore saranno più corte e questo per un semplice effetto prospettico; si avranno quindi meno probabilità di vederle. È anche possibile che all'inizio della sessione osservativa il radiante si trovi prossimo all'orizzonte est o addirittura al di sotto di esso: in questo caso le meteore di quello sciame saranno sicuramente pochissime all'inizio per poi aumentare man mano che il radiante si alzerà sull'orizzonte; quando il radiante si trova a 10° di altezza al di sotto l'orizzonte non è; possibile osservare meteore da quello sciame.
    L'immagine qui riportata raffigura una carta gnomonica dell'IMO modificata con l'aggiunta delle posizione di due dei radianti visibili a inizio gennaio. Questa carta è stata utilizzata per registrare le meteore osservate in una sessione osservativa del 4 gennaio 2000, dalle ore 02:00 UT alle 03:25 UT. Le regioni "IMO field" sono i settori utilizzati per la determinazione della magnitudine limite.
    In questo caso specifico sono state tracciate sulla carta tutte le meteore osservate: sia quelle che probabilmente appartenevano allo sciame delle Quadrantidi, il principale attivo in quel periodo, sia quelle che l'osservatore ha ritenuto essere "sporadiche"





    Anche in periodi in cui non sono presenti particolari sciami o gli sciami presenti sono poco attivi, è possibile vedere le meteore sporadiche; queste seguono delle variazioni periodiche in quantità osservabili secondo ritmi giornalieri e annuali. Il numero complessivo di meteore è superiore a quello che normalmente si ritiene: come già accennato in prevcedenza, si osserva un picco di frequenza per le meteore intorno alla magnitudine +4m, questo anche perché oltre tale valore di luminosità diventa piuttosto difficile scorgere meteore mentre quelle più luminose sono invece effettivamente più rare. È del resto implicito che, quando si parla di luminosità di una meteora si fa comunque riferimento a due delle sue proprietà: la massa della particella e la sua velocità di entrata nell'atmosfera; dato che l'intera particella brucia durante il suo brevissimo passaggio nell'atmosfera terrestre, l'intera massa si converte in energia cinetica e la misura della sua luminosità è un buon indice della massa originaria del frammento. Quindi lo studio delle abbondanze relative di meteore secondo la loro luminosità è in realtà un'analisi della distribuzione delle masse di queste particelle poste in relazione con la loro velocità relativa rispetto alla Terra; è anche intuitivo che vi siano molte più polveri fini piuttosto che frammenti più grandi, per cui l'analisi della frequenza di meteore, specie di quelle appartenenti a uno sciame, fornisce indizi sulla densità spaziale della nube meteorica: lo sciame può essere più o meno largo e avere un'orbita più o meno inclinata rispetto al piano orbitale terrestre, per cui il tempo impiegato dalla Terra per attraversarlo potrà variare da poche ore o minuti a molti giorni.





    In generale, a livello giornaliero si verificano forti variazioni nel numero delle meteore osservate: nelle prime ore del mattino si possono arrivare a contare anche il triplo delle meteore di quelle visibili nelle prima parte della notte; questo fatto è dovuto alla combinazione del moto di rotazione terrestre con la posizione degli osservatori sulla superficie del nostro pianeta e la direzione del moto di rivoluzione della Terra intorno al Sole. Se un osservatore si trova nella faccia "anteriore" del nostro pianeta, ovvero quella parte che si trova di fronte al moto di rivoluzione, vedrà sicuramente più meteore proprio perché quella regione del nostro globo, in quel momento, risulterà maggiormente colpito dalle particelle interplanetarie: questo avviene proprio nelle prime ore del mattino, poco prima dell'alba. Un altro osservatore che si troverà in una zona in cui è da poco tramontato il Sole, sarà ancora in una parte della Terra "posteriore" alla direzione del moto rivoluzione intorno al Sole. Come esempio si puo' portare il caso analogo di un'automobile in viaggio sotto la pioggia o la neve: la parte anteriore della vettura, con il parabrezza, sarà colpito da un numero maggiore di gocce di pioggia o di fiocchi di neve, rispetto a quelle che colpiranno la parte posteriore con la targa e il lunotto posteriore; a livello teorico, in base a quanto detto, si dovrebbe rilevare un numero massimo di meteore intorno alle sei del mattino e un numero minimo verso le ore diciotto.





    Quanto detto si applica non solo per le meteore non collegate ad alcun sciame, ovvero le già più volte invocate sporadiche, ma anche a quelle che appartengono a sciami e che trovano la loro massima attività in precisi periodi dell'anno. Questa non è tuttavia l'unica variazione a base annuale, in quanto anche escludendo le attività degli sciami, si registrano variazioni stagionali: il numero massimo di meteore si ha quando l'apice del moto della Terra si trova alla massima altezza sull'orizzonte dell'osservatore; dato che questo apice dista rispetto all' eclitticaÈ il percorso apparente che compie il Sole durante tutto l'anno nel cielo, di fatto è il piano dell'orbita terrestre proiettata sulla sfera celeste. 90° dalla direzione del Sole, esso va a coincidere con l'equinozioGiorno dell'anno in cui il Sole si trova allo zenit dell'equatore: si verifica due volte all'anno in date intorno al 21 marzo e al 21 settembre; in quelle giornate la durata del giorno e della notte sono identiche. di autunno, per cui in quella stagione si potrà osservare un numero sensibilmente superiore di meteore.





    L'attivita' degli sciami di meteore avviene, come si è detto, in determinati periodi dell'anno: si ha un arco temporale, che può essere di qualche giorno fino a diverse settimane, in cui quelle particolari meteore saranno visibili e un istante di massima attività concentrato in una giornata o addirittura in una manciata di ore. L'elenco degli sciami meteorici è pubblicato ogni anno da diverse associazioni astronomiche internazionali e da siti specializzati, uno di questi, e probabilmente uno dei più autorevoli, è quello del già ricordata International Meteor Organization (IMO) Fondata il 1 maggio 1988 ha sede in Belgio e raccoglie circa 250 tra appassionati e astronomi professionisti di tutto il mondo. che pubblica uno specifico calendario che riporta gli intervalli delle date di visibilità, dei massimi e molte altre informazioni utili per l'osservatore.
    Nel loro periodo di visibilità, e specialmente nel giorno del massimo, le meteore di una sciame si comportano come illustrato nella figura a lato: esse sembrano irradiarsi da un punto di origine comune che corrisponde a quella regione dello spazio interplanetario in cui si trova la nuvola di detriti rilasciati dall'oggetto generatore dello sciame e che viene incrociato dal nostro pianeta. L'illustrazione, in particolare, è una rappresentazione schematica delle scie meteoriche lasciate dallo sciame delle Perseidi che è visibile dal 17 luglio al 24 agosto e ha il suo massimo di attività tra il 12 e il 13 agosto di ogni anno. Il radiante di questo sciame si trova all'interno della costellazione del Perseo da cui prende il nome e si muove lentamente, anno dopo anno, in direzione della costellazione di Cassiopea.














    Riprese Fotografiche di Meteore

     


    Al fianco delle osservazioni visuali ha acquistato una sempre maggiora importanza quelle fotografiche, condotte con semplici fotocamere spesso montate su normali treppiedi e dotati di obiettivi luminosi a medio e grande campo. Molto spesso gli astrofili più esperti conduce parallelamente le due attività, osservando una determinata zona di cielo che viene anche seguita fotograficamente: le meteore osservate visualmente, di cui l'osservatore annota le caratteristiche e le cui traiettorie riporta sulla mappa celeste gnomonica, possono poi essere confermate dall'immagine fotografica specie per quello che riguarda la lunghezza della scia e la direzione, permettendo quindi una migliore identificazione dell'eventuale sciame a cui ogni meteora appartiene o se si tratta di oggetti sporadici. Per riprendere fotograficamente una zona di cielo si possono utilizzare due sistemi differenti: il primo è quello semplicemente di porre come accennato la fotocamera su un comune treppiede fotografico e di utilizzare un obiettivo a grande campo, aprendo il diaframma il più possibile e impostando un certo tempo di esposizione abbastanza lungo ma con un valore di ISO abbastanza basso, in modo che la foto non risulti sovraesposta; il tempo in cui l'otturattore dovrà rimanere aperto dipende dall'arco temporale che si vuole coprire, per un singolo scatto, relativamente alla complessiva sorveglianza fotografia della regione di cielo seguita. Da una parte c'è la necessità di limitare il numero totale di scatti da eseguire durante l'intera sessione osservativa e, dall'altra, bisogna evitare che l'immagine venga completamente saturata, producendo una sovraesposizione.
    A fianco una delle fotografie scattate la notte del 17 novembre 1999 durante il picco di attività dello sciame meteorico delle Leonidi. Malgrado ogni sciame si ripresenti ogni anno, alcuni mostrano una attività più marcata in periodi più lunghi, spesso in anni. Lo sciame delle Leonidi è uno di questi, con picchi fortissimi di attività che avvengono ogni 33 anni e che trasformano il massimo in una vera e propria "pioggia" di meteore che, qualche volta, può davvero essere definita come una "tempesta". La foto riporta una brillante Leonide in basso a destra ma testimonia anche delle critiche condizioni atmosferiche di quella notte, con la presenza di nuvole e di ripetuti scrosci di pioggia che portarono all'interruzione delle osservazioni più volte.





    Il secondo metodo è quello di ricorrere all'utilizzo di un astroinseguitore oppure di una montatura equatoriale motorizzata al posto del treppiede: il vantaggio di questa soluzione è che le stelle non appariranno più come delle striscie luminose, per cui sarà più semplice identificare stelle e costellazioni; inoltre si potrà calcolare in maniera più precisa la posizione del punto di entrata e di uscita della meteora e la sua lunghezza. Le foto risultanti saranno anche senz'altro molto più gradevoli da un punto di vista estetico. Per contro questa soluzione presenta lo svantaggio di dover utilizzare delle attrezzature aggiuntive, spesso abbastanza costose. Con una montatura equatoriale motorizzata oppure un astroinseguitore si insegue il movimento apparente della volta celeste, cosa non possibile con il normale treppiede fotografico.





    Entrambi i metodi presentano vantaggi e svantaggi, da esaminare nel dettaglio in modo da riuscire a trovare la soluzione che più si adatta alle possibiltà e necessità dell'osservatore: esaminando il metodo del treppiede fotografico è possibile impostare la propria macchina fotografica con tempi di esposizione abbastanza brevi, tanto che il movimento della volta celeste non risulti percepibile, senza quindi ottenere le stelle strisciate. Parallelamente sarà però necessario aumentare il numero di ISO, al fine di non ottenere delle immagini fortemente sottoesposte. Il tempo di esposizione massimo che può essere utilizzato prima che le stelle inizino a mostrare l'effetto strisciato, viene calcolato dalla formula:

    $$ t_{max} = { 550 \over { F \cdot \cos \delta }} \tag{1} $$


    dove tmax è il tempo di esposizione massimo in secondi, F la lunghezza focale dell'obiettivo usato e δ la declinazione media della regione di cielo inquadrata. La costante 550 è argomento di controversia nel mondo dell'astrofilia: alcuni propongono il valore 500, altri 600; diciamo che il valore medio 550 rappresenta un buon compromesso ed è anche quello suggerito da grandi astronomi del recente passato, come Walter Ferreri. A rigore questa formula sarebbe valida per le emulsioni fotografiche, dove si poteva accettare una striscia stellare di lunghezza massima pari a 40 micron, cioè 0,04 millimetri sul formato 35 mm, ovvero quello che viene definito full frame; con una camera dotata di sensore APS-C bisogna applicare un ulteriore fattore di riduzione, detto fattotre di crop, pari a 1,6 per le fotocamere Canon e 1,5 per le Nikon. Si può calcolare facilmente che se si fotografa una regione centrata sull'equatore celeste dove δ = 0° e quindi cos(δ) = 1 con un obiettivo medio grandangolare come un 28 mm di focale, si ottiene un tempo di esposizione pari a soli 20 secondi circa in full frame.
    Appare chiaro che un tempo di esposizione così breve, anche aumentando di molto il valore degli ISO, potrebbe essere sufficiente a riprendere solo le stelle più luminose e meno che mai le meteore. Sarebbero inoltre necessari almeno 180 scatti solo per coprire una sessione osservativa di appena un'ora; mentre il tempo minimo stimabile per sperare di ottenere dati statistici significativi è di almeno tre ore.





    Scartando quindi l'ipotesi di lavoro basata sulle brevi esposizioni, rimangono solo le opzioni di inseguire il moto della volta celeste tramite adeguate attrezzature oppure rimanere nella configurazione base, più economica, con il solo treppiede fotografico e accettare le stelle strisciate. Si può però calcolare quale sarà la lunghezza di queste striscie sull'immagine in funzione del tempo di esposizione e pensare di minimizzarle il più possibile, cercando di trovare un compromesso soddisfacente.
    La formula utilizzabile è:

    $$ T = {{F \cdot t \cdot {2 \pi \over g} \cdot \cos \delta;} \over d} \tag{2} $$


    dove T è la lunghezza della striscia stellare in pixel sulla foto, F la lunghezza focale dell'obiettivo utilizzato, t il tempo di esposizione in secondi, g il numero di secondi in un giorno siderale (pari a 86164,1), δ la declinazione media della regione di cielo inquadrata e, infine, d sono le dimensioni di ogni singolo pixel del sensore della fotocamera utilizzata per la ripresa. È abbastanza facile verificare che utilizzando il tempo di esposizione calcolato precedentemente di 20 secondi, con un obiettivo da 28 mm montato su una fotocamera, per esempio della Canon, le cui dimensioni dei pixel del sensore sono pari a 3,72 micron (0,00372 mm), si ottengono delle strisce stellari delle dimensioni approssimative di 40 micron, cioè esattamente quello presupposto dalla formula (1); da notare che poi in realtà utilizzando una Canon l'esposizione andrebbe ridotta per il fattore di crop 1,6, arrivando quindi a 12 secondi circa. Le strisce delle meteore, eventualmente catturate durante l'esposizione, si sovrapporranno quindi a quelle delle stelle, rendendo nel complesso la foto abbastanza confusa, anche se questo non necessariamente pregiudica il valore scientifico della stessa.
    Il problema, come già più volte accennato rimane quello della brevità dell'esposizione: come vedremo nel seguito esistono delle altre formule che permettono di calcolare quanto dovrebbe durare una posa fotografica a grande campo per permettere di catturare il maggior numero possibile di stelle e avere una qualche speranza di riuscire a riprendere anche qualche meteora.




    Per ottenere le stelle puntiformi con esposizioni abbastanza lunghe sarà invece giocoforza utilizzare dei sistemi di inseguimento come quelli già elencati, allineandoli al polo celeste e alimentarli tramite una batteria; considerando che si utilizzeranno focali molto corte, proprio per abbracciare un campo celeste più grande possibile, eventuali piccole imprecisioni di puntamento o errori meccanici nell'inseguimento potranno passare facilmente inosservati. In teoria, quindi, adesso una singola esposizione potrebbe durare un qualunque tempo a piacimento, in quanto le stelle non verrebbero mai strisciate; in realtà adesso sorge un altro problema, legato ancora una volta al tempo di esposizione, perché non si può esporre una foto per tutto il tempo che si desidera, anche se la fotocamera insegue il movimento della volta celeste. Dopo un determinato numero di minuti l'immagine risulterà sovraesposta, anche se il cielo è molto scuro e non sono presenti fonti di inquinamento luminoso o la Luna. Questo tempo di esposizione massimo dipende, questa volta, dalla luminosità propria di fondo del cielo, dal valore di ISO che impostiamo e dalle caratteristiche dell'obiettivo usato, come diametro e lunghezza focale ovvero dal suo rapporto di apertura. La formula che può, a livello comunque approssimativo, esprimere questo tempo massimo di esposizione è la seguente:

    $$ t_{max} = {{ 2.5^m \cdot f^2} \over 125} \tag{3} $$


    qui vediamo che f rappresenta il rapporto d'apertura dell'obiettivo fotografico utilizzato, mentre m è invece la magnitudine visuale stimata della stella più debole visibile a occhio nudo nella regione da fotografare; il tempo massimo tmax viene espresso, in questa formula, in minuti.
    Utilizzando ancora una volta un obiettivo da 28mm di focale che, normalmente, presenta un rapporto di apertura di 2,8 e supponendo di voler fotografare una zona di cielo dove la stella più debole visibile a occhio nudo è pari alla magnitudine +4m, si ottiene un tempo di circa 2 minuti e mezzo. A rigore questa formula sarebbe valida per un valore di ISO pari a circa 400; elevando la sensibilità del sensore, portandolo ad esempio a 1600 ISO, il tempo massimo scende di un fattore 4 (1600 / 400 = 4) ovvero, come direbbero i fotografi, si aumenta di quattro stop, riducendosi quindi a un tempo di esposizione di circa 40 secondi.




    Appare utile ribadire ancora una volta che questi valori devono intendersi come indicativi: nulla può realmente sostituire la sperimentazione sul campo; le formule sono comunque utili per stabilire alcuni parametri fondamentali di partenza da cui inziare a lavorare. Il tempo di esposizione massimo è da intendersi come quella esposizione dove il fondo cielo sarà ancora sufficientemente scuro: se si accetta un minimo di chiarore di fondo, si potrà senz'altro anche forzare un poco l'esposizione stessa. Visto l'intenzione non è quella di fotografare nebulose, anche se un poco di Via Lattea sarebbe esteticamente molto apprezzabile, si potrà magari prolungare un poco la foto, correndo magari il rischio di perdere qualche debole nebulosità interstellare ma di guadagnare qualche probabilità in più di catturare qualche meteora. In ogni caso, nota l'esposizione massima utilizzabile è anche possibile calcolare che magnitudine avrà la stella più debole che si riuscirà a registrare nell'immagine, questo grazie alla formula:

    $$ m_l = {{ 2.5 \cdot \log t} + {5 \cdot \log D} - 2.5} \tag{4} $$


    dove t è il tempo di esposizione in secondi e D il diametro dell'obiettivo fotografico in millimetri. Utilizzando ancora una volta l'obiettivo fotografico da 28 mm aperto a f/2.8, si può calcolare il diametro del suo obiettivo, ovvero del diaframma in grado di far passare la luce, che risulta ovviamente pari a 10 millimetri. Utilizzando il tempo di esposizione ricavato dalla formula (3) e pari quindi circa 150 secondi, la magnitudine limite raggiunta nella foto sarà quindi di circa l'ottava, ovvero sulla foto potremmo registrare stelle fino alla magnitudine +8m.
    Per confronto si consideri che un obiettivo da 50 mm di focale aperto a f/1.8 potrà dare, con le stesse condizioni di cielo, un tempo di esposizione massimo di circa 60 secondi e una magnitudine limite raggiunta di +9.2m però con un campo apparente abbraciato più piccolo. Aumentare il tempo di esposizione oltre questi valori limite calcolati non porterà a sostanziali vantaggi, in quanto l'aumento di luminosità del fondo cielo coprirà inesorabilmente le stelle più deboli che potrebbero essere registrate; l'unica alternativa è quindi quella di cercare un cielo più buio possibile: un obiettivo da 50 mm f/1.8, sotto un cielo con magnitudine limite visuale pari a +6m, potrà spingersi fino a un tempo di esposizione di oltre 6 minuti e registrare stelle fino alla magnitudine +11.2m. Si deve sempre ricordare che stiamo considerando una fotocamera che insegue il movimento apparente della volta celeste.




    Da quanto finora esposto sembra possibile raggiungere alcuni compromessi tra esposizioni sufficientemente lunghe da permettere di registrare quante più stelle e e meteore possibili ed evitare di far risaltare in modo eccessivo il fondo cielo. La formula (4) è valida nel caso di utilizzo di un astroinseguitore o montatura equatoriale, in quanto in quel caso tutta la luce delle stelle viene concentrata in un singolo punto e non, come avviene con l'uso di un treppiede fotografico, su una striscia; la formula (3) è invece valida in ogni caso.
    Esiste però un'altra difficoltà, legata questa volta alla natura dei soggetti principali delle nostre foto. L'apparizione di una meteora è estremamente rapida, mediamente mezzo secondo: dalla formula (4) si può calcolare che un obiettivo da 50 mm di focale aperto a f/1.8, avente quindi un diametro dato dal diaframma di 28 mm, potrà arrivare a fotografare stelle di magnitudine +4m in quel brevissimo tempo di esposizione e con una sensibilità impostata a 400 ISO. Bisogna però considerare che la meteora non si presenta puntiforme ma che distribuisce la sua luce su una striscia di una certa lunghezza e ogni punto di essa, che andrà a sensibilizzare un certo quantitativo di pixel del sensore, avrà una luminosità molto minore rispetto a quella di una stella di magnitudine analoga a quella totale della meteora. Fermo restando che è assolutamente illusorio poter calcolare un valore preciso, si può però supporre che una meteora di una certa magnitudine potrà essere registrata dal sensore come una stella da 30 a 50 volte meno luminosa. In altre parole se in 0,5 secondi si possono registrare stelle fino alla magnitudine +4m, si può immaginare che potremmo avere sulla foto finale meteore al massimo di magnitudine zero o quelle più luminose. Quindi il nostro obiettivo da 50 mm di focale aperto a f/1.8 permette di registrare, in media, meteore con una magnitudine di +0m a 400 ISO; l'unica strada per registrare meteore più deboli sembra quella di innalzare gli ISO. Ma innalzare gli ISO significa dover necessariamente ridurre il tempo di esposizione di ogni posa, pena la sovraesposizione per il fondo cielo e riportando quindi a galla gli altri problemi già visti e che sembravano risolti. Altra possibile soluzione potrebbe essere quella di utilizzare un obiettivo fotografico più luminoso: per esempio sempre un 50 mm di focale, ma aperto a f/1.4, sarà 1.5 volte più luminoso di quello dell'esempio con rapporto focale f/1.8 in quanto il diametro del suo diaframma in entrata sarà pari a 50/1.4 = 35 mm mentre l'altro è solo di 50/1.8 = 28; quindi 352/282 = 1.5 volte. Allora l'obiettivo a f/1.4 permetterà di registrare meteore 1.5 volte più deboli. Tutto questo equivale a dire che se un sensore settato a 400 ISO con un obiettivo da 50 mm a f/1.8 permetteva di registrare meteore fino alla magnitudine +0m, uno da f/1.4 ne mostrerà fino alla magnitudine +0,5m, visto che il fattore di scala tra una magnitudine e l'altra è 2.512, ovvero 1.5 / 2.512 ≈ 0.5. Meglio ancora sarebbe utilizzare un f/1.2, che renderebbe visibili meteore di circa 0.8m, in quanto il fattore di miglioramento sarebbe in questo caso di circa 2 e quindi 2 / 2.512 ≈ 0.8. Purtroppo però i costi di tali obiettivi lievitano in maniera esponenziale al dimunuire del rapporto focale, in quanto devono essere di altissima qualità ottica; inoltre un obiettivo più luminoso porterà comunque a una saturazione anticipata del sensore, diminuendo il tempo massimo di esposizione secondo la formula (3).




    Nella presente trattazione finora stati portati come esempio l'utilizzo di un diverse tipologie di obeittivi fotografici: innanzi tutto un piuttosto comune grandangolare da 28 mm di lunghezza focale e apertura relativa f/2.8 e poi un 50 mm aperto a f/1.8. Si sceglie ovviamente l'apertura massima che può mettere a disposizione il diaframma in quanto dobbiamo cercare di raccogliere più luce possibile nel più breve lasso di tempo possibile. Lasciando da parte le altre tipologie di obiettivi con medesime lunghezze focali ma con aperture più spinte, c'è una ragione se vengono scelte tali tipologie di obiettivi nelle foto di meteore: semplicemente perché riescono a inquadrare un campo maggiore e, quindi, hanno più probabilità di riuscire a registrare la traccia di una meteora. Un obiettivo grandangolare dovrebbe quindi essere preferibile rispetto a un 50 mm ma questo non è del tutto vero, esistono delle condizioni che fanno spesso preferire un obiettivo con campo apparente minore e focale leggermente più lunga.
    Per fare un confronto occorre però immaginare di avere a disposizione due obiettivi che, pur avendo lunghezze focali differenti, possono essere impostati con la medesima apertura relativa, ovvero lo stesso diaframma: innanzi tutto va premesso che un medio grandangolare da 28 mm di focale aperto a f/1.8 è già un obiettivo alquanto costoso, in quanto la maggiore luminosità comporta delle lavorazioni di alta qualità, non certo destinati a prodotti di fascia commerciale bassa; detto questo però ci si può domandare se si avrà un qualche tipo di guadagno in termini di registrazione di meteore deboli per via del fatto che la striscia generata dalla meteora si andrà a distribuire su un'area minore? Oppure non si avranno vantaggi perché la minore dissipazione verrà bilanciata dal diametro minore? Possiamo trovare la risposta con dei semplici calcoli dove si può esprimere la differenza Δg di guadagno come:

    $$ \Delta_g = {{ D_1 ^2 / D_2 ^2 } \over { F_1 / F_2 }} \tag{5} $$


    dove D1 e D2 sono i diametri dei due obiettivi da confrontare e F1 e F2 le loro lunghezze focali, rispettivamente 50 mm e 28 mm; quindi D1 = 50 / 1.8 = 28 e D2 = 28 / 1.8 = 15:

    $$ \Delta_g = {{ 28 ^2 / 15 ^2 } \over { 50 / 28 }} = {{ 784 / 225 } \over { 50 / 28}} \approx 1.9 $$


    alla resa dei conti un 50 mm avrà dalla sua parte un fattore di guadagno pari a circa 1.9, ovvero 1.9 / 2.512 ≈ 0.8 magnitudini rispetto a un grandangolare da 28 mm con il medesimo rapporto di apertura. La spiegazione di questo è che la dissipazione della luce della meteora avviene solamente sulla lunghezza della strisciata meteorica; sulla larghezza interviene la risolvenza del sistema obiettivo + sensore a dare una eventuale dimensione. Da quanto detto però non bisogna però trarre l'errata conclusione che gli obiettivi grandangolari siano da sconsigliare: essi infatti hanno comunque l'importante contropartita di un campo di vista molto più grande, una delle cose fondamentali nelle ripresa fotografiche di meteore. Sono invece decisamente da sconsigliare i teleobiettivi e comunque tutte le ottiche commerciali superiori ai 50 mm di lunghezza focale.














    Analisi dei dati

     


    Il lavoro all'interno di un programma osservativo sulle meteore non comporta solamente eseguire osservazioni: seguendo le metodologie dettate dall'associazione astronomica di riferimento, che può essere la Sezione Meteore dell'Unione Astrofili Italiani oppure direttamente l'International Meteor Organization, si potranno inviare le proprie osservazioni grezze che saranno aggiunte a quelle di tanti altri osservatori, sparsi sul territorio nazionale e nel mondo. Rispettare i criteri previsti dalla metodologia significa standardizzare le proprie osservazioni secondo un criterio scientifico, in modo che siano utilizzabili per una corretta elaborazione ed analisi dei dati. Per capire meglio quali siano questi criteri e anche per utilizzare, a livello personale o ristretto alla propria associazione locale di astrofili, é senz'altro possibile e auspicabile effettuare alcune interessanti elaborazioni, utili a fornire sia ulteriori indicazioni alla comunità astronomica sia per indagare sulla realtà fisica dei fenomeni osservati, in modo da comprenderli al meglio.
    Il primo passo, nel campo delle meteore, è quello di definire il cosiddetto ZHR, ovvero lo Zenital Hourly RateIn astronomia, lo ZHR di uno sciame meteorico è il numero di meteore che un singolo osservatore vedrebbe in un'ora di attività se il radiante si trovasse allo zenit. di uno sciame meteorico, in italiano la "Frequenza Oraria Zenitale", ovvero il numero di meteore che un singolo osservatore potrebbe vedere in un'ora netta di tempo osservativo se il radiante di una sciame meteorico si trovasse esattamente allo zenit, la magnitudine della stella più debole visibile dal luogo di osservazione fosse la massima teorica possibile, ovvero +6.5m e se il cielo fosse completamente libero, privo di coperture. Si tratta di una valore di riferimento estremamente importante, che permette di confrontare tra di loro i vari sciami di meteore e anche l'attività standard, che potremmo chiamare di "fondo", delle meteore in assenza di sciami. Lo ZHR si calcola per ogni osservatore e si riferisce a un singolo sciame meteorico per una sola nottata di osservazione: nel caso di più osservatori si dovrà fare una media tra i vari ZHR calcolati e, in presenza di più sciami meteorici attivi durante la stessa notte, sarà necessario un calcolo separato per ogni sciame, identificando così la paternità di ogni meteora osservata. La formula per il calcolo dello ZHR è la seguente:

    $$ ZHR = { n \over T_{eff}} \cdot F \cdot z \cdot c \tag{6} $$


    dove n è il numero delle meteore realmente osservato da una singola persona, Teff il tempo effettivo di osservazione, sottratti i tempi morti e le interruzioni, F il fattore per la correzione per la copertura del cielo dovuta per esempio alle nubi, z è la correzione per la minore elevazione del radiante rispetto allo zenit (90° rispetto all'osservatore) e infine c un ulteriore fattore di correzione per la magnitudine limite della regione osservata, se inferiore a +6.5m.
    Il numero n delle meteore viene determinato direttamente dall'osservazione mentre il fattore F di correzione per la copertura del cielo viene calcolato grazie alla formula:

    $$ F = { 1 \over { 1 - k }} \tag{7} $$


    dove k è calcolabile grazie ad un'altra formula:

    $$ k = { \sum_{i=1}^n {k_i} \cdot {t_i} \over {t_{total}}} \tag{8} $$


    ki è la percentuale di copertura del cielo, valutato in termini decimali tra 0 e 1, nell'intervallo di tempo i-esimo, ti è quindi l'intervallo di tempo i-esimo e ttotal il tempo totale reale di osservazione. Si tratta in sostanza di una media pesata tra i diversi intervalli di tempo con le diverse coperture di cielo: va da sé che se il cielo, in un intervallo i-esimo, è completamente libero il fattore ki sarà zero e zero sarà quindi anche il suo contributo nel calcolo della media pesata; nel caso estremo e dal punto di vista osservativo il migliore, in cui il cielo rimane completamente libero durante tutto il periodo osservativo, il valore k nella formula (8) sarà uguale a zero e quindi il risultato della formula (7) sarà 1.




    Per quello che riguarda la correzione per l'elevazione del radiante o dalla sua distanza dallo zenit che dir si voglia, bisogna partire dalla considerazione pratica che un osservatore che si troverà il radiante di uno sciame meteorico allo zenit vedrà sicuramente più meteore rispetto a un altro che veda lo stesso radiante poco al di sopra del proprio orizzonte locale. Analizzando il fenomeno nel dettaglio viene quindi da chiedersi quante meteore N di uno sciame sarà possibile osservare se il radiante fosse allo zenit invece che all'altezza realmente osservata hr. La risposta è z volte di più, ovvero:

    $$ N = n \cdot z $$


    ovvero anche:

    $$ z = { N \over n } $$


    Si consideri la Terra come stazionaria mentre le particelle dello sciame di meteoroidi si muovono in direzione del nostro pianeta su percorsi paralleli a una velocità geocentrica Vg; poiché la velocità geocentrica indica la velocità rispetto al centro della Terra, la semplificazione ora adottata è formalmente corretta. Il numero di particelle n contenute in un dato volume sarà costante in media; questo numero è determinato dal numero di densità spaziale S. L'unità di misura per S è "particelle per miliardo di chilometro cubico" (10-9 km-3) che corrisponde al numero di particelle all'interno di un cubo avente per lato una lunghezza di 1.000 km. Se il radiante di uno sciame è allo zenit, le particelle si muovono perpendicolarmente all'orizzonte: assumendo l'orizzonte stazionario, durante un'ora tutte le particelle all'interno di un cilindro di raggio a e altezza L, equivalente a:

    $$ L = { V_g \cdot 3600 } $$


    dove Vg è espresso in km/sec e 3600 sono i secondi in un'ora, diventeranno meteore nel campo di vista dell'osservatore. Il volume V di questo cilindro sarà allora:

    $$ V = { \pi \cdot a^2 \cdot L } $$


    mentre il numero di meteore n per ora sarà:

    $$ n = { V \cdot S } $$


    rendendo così possibile poter scrivere:

    $$ n = { \pi \cdot a^2 \cdot V_g \cdot 3600 \cdot S } \tag{9} $$






    Se il radiante non si trova allo zenit ma a una certa elevazione hr, il cilindro diviene una sezione ellittica. Mentre l'area di un cerchio viene calcolata grazie alla formula;

    $$ A = { \pi \cdot a^2 } $$


    ove a è il raggio, l'area di una ellisse viene invece calcolata tramite:

    $$ A = { \pi \cdot a \cdot b } $$


    dove questa volta a rappresenta il semiasse maggiore e b quello minore. Nel caso più semplice di un cerchio, quindi con una elevazione del radiante hr = 90°, avremo a = b. La forma generale dell'equazione (9) sarà quindi:

    $$ n = { \pi \cdot a \cdot b \cdot V_g \cdot 3600 \cdot S } \tag{10} $$




    Nell'ultima equazione (10) solo b dipende dall'elevazione del radiante: b varia da b = 0 per h = 0 a b = a quando hr = 90°. Il numero delle meteore n è così proporzionale a b. Per il fattore di correzione zenitale si può allora scrivere:

    $$ z = {{ N \over n } = {{ \pi \cdot a^2 \cdot V_g \cdot 3600 \cdot S } \over { \pi \cdot a \cdot b \cdot V_g \cdot 3600 \cdot S }} = { a \over b }} $$


    d'altra parte si potrebbe anche scrivere:

    $$ \sin {h_r} = { b \over a } $$


    e quindi:

    $$ z = { 1 \over \sin {h_r} } \tag{11} $$


    formalmente valida per hr compreso tra 10° e 90°.
    Questa è la forma base del fattore di correzione zenitale. Se l'elevazione del radiante è minore di 10° la formula diventa molto più complessa: in teoria sarrebe anche possibile vedere meteore di uno sciame il cui radiante si trova poco al di sotto della linea dell'orizzonte dell'osservatore, tuttavia da un'elevazione di -10° in poi nessuna meteora di quel particolare sciame potrà mai essere osservata. Come buona approssimazione si può utilizzare l'elevazione del radiante alla metà del periodo osservativo per il calcolo di z; diventa quindi possibile determinare hr usando una delle formule di trigonometria sferica:

    $$ \sin {h_r} = { \sin{\phi} \cdot \sin{\delta} + \cos{\phi} \cdot \cos{\delta} \cdot \cos{(\theta - \alpha)} } \tag{12} $$


    dove φ è la latitudine geografica del sito osservativo, δ la declinazione del radiante, α l'ascensione retta del radiante in gradi e θ è il tempo siderale locale alla metà dell'intervallo osservativo.





    La definizione e determinazione del tempo siderale potrebbe essere un argomento che trascende la presente trattazione; per ragioni di completezza si ritiene però utile, se non necessario, riepilogarlo nella maniera più sintetica possibile.
    Il tempo a cui siamo abituati nella vita di tutti i giorni è il cosiddetto tempo solare: l'unità fondamentale del tempo solare è il giorno, ovvero il tempo impiegato dal Sole a percorrere 360 gradi nel cielo, come effetto della rotazione del nostro pianeta intorno al proprio asse; un giorno solare è composto da 24 ore. La Terra però non compie una rotazione completa di 360 gradi su se stessa in un giorno solare: essa è in orbita intorno al Sole, perciò dopo aver compiuto un giro completo su se stessa si sarà anche spostata in "avanti" nel suo moto di rivoluzione. Questo causa un apparente costante "ritardo" del Sole e il giro della terra per riportare l'astro del giorno nella stessa posizione nel cielo che occupava il giorno porecedente deve essere più lungo di un grado, ovvero di quattro minuti in tempo solare. Per questo motivo in astronomia si usa il giorno siderale, che elimina la complicazione dell'orbita terrestre attorno al Sole, e si basa solo su quanto tempo la Terra impiega a ruotare di 360 gradi rispetto alle stelle. In media un giorno siderale è quattro minuti più corto di un giorno solare, a causa del grado in aggiunta. Invece di definire un giorno siderale della durata di 23 ore e 56 minuti, definiamo ore, minuti e secondi siderali come frazioni del giorno uguali a quelle dei corrispettivi solari. Così un secondo solare dura 1.00278 secondi siderali. Il tempo siderale risulta molto utile per determinare dove si trovano le stelle in un certo istante: il tempo siderale divide una rotazione completa della Terra in 24 ore siderali; allo stesso modo, la mappa del cielo è divisa in 24 ore di ascensione retta (AR) In astronomia, l'Ascensione Retta (AR, RA oppure α) è un termine associato al sistema di coordinate equatoriali. Essa è analoga alla longitudine ma proiettata sulla sfera celeste anziché sulla superficie terrestre. Viene definita come distanza angolare fra il meridiano fondamentale e il meridiano passante per l'oggetto scelto, misurata lungo il parallelo passante per l'oggetto celeste. Lo zero corrisponde al primo punto d'Ariete (punto dell'equinozio primaverile boreale). L'ascensione retta è misurata in ore, minuti e secondi, corrispondenti alla rotazione terrestre: 24 ore di ascensione retta sono un giro completo. Un'ora equivale a 15 gradi.. Non si tratta di una coincidenza: il tempo siderale locale (TSL) indica l'ascensione retta che sta passando in quel momento sul meridiano locale. Così se una stella ha un'ascensione retta di 5 ore, 32 minuti e 24 secondi, sarà in meridiano alle 05:32:24 TSL. Più in generale, la differenza tra l'AR di un oggetto e il tempo siderale locale dice quanto lontano l'oggetto si trova dal meridiano locale: per esempio, lo stesso oggetto alle 06:32:24 TSL (un'ora siderale più tardi) sarà un'ora di ascensione retta ad ovest del meridiano, corrispondente a 15 gradi; questa distanza angolare dal meridiano è chiamata angolo orario dell'oggetto. Per il calcolo del tempo siderale locale di solito ci si affida a effemeridi o a programmi specifici dedicati all'astronomia; per calcolare il TSL per conto proprio in qualunque momento è necessario partire dal tempo siderale medio di Greenwich alle ore 12 dello 0 gennaio dell'anno in corso. Lo zero gennaio è chiaramente una data fittizia, utile per semplificare i calcoli. La formula di partenza è quindi:

    $$ \theta_G = { 23925,836 + 8640184,542 \cdot T + 0,00929 \cdot T^2 } \tag{13} $$


    dove T è il numero di secoli giuliani trascorsi dalle ore 12 dello 0 gennaio 1900; mentre tutti i valori sono espressi in secondi. Stabilita la base di partenza, si può affrontare il calcolo effettivo del TSL a una qualunque data e ora, grazie alla formula:

    $$ \theta = { 0,0027379093 \cdot (24 \cdot d + x ) + x + \theta_G - \lambda } \tag{14} $$


    dove d è il numero di giorni a partire dallo 0 gennaio, x è il Tempo Universale (TU) equivalente del fuso orario locale, θG è il valore calcolato con la formula (13) e λ la longitudine dell'osservatore in gradi diviso 15, positiva se a ovest di Greenwich, negativa se a est.





    A lato una grafica che illustra i concetti di ascensione retta e declinazione come un sistema di coordinate celesti.
    L'ascensione retta, identificata con la sigla AR oppure RA (dall'inglese Right Ascension) oppure ancora con la prima lettera dell'alfabeto greco α, è l'angolo dal Primo Punto d'ArieteIl punto vernale, noto anche come primo punto d'Ariete o punto gamma (γ), è uno dei due punti equinoziali in cui l'equatore celeste interseca l'eclittica. Quando il Sole, nel suo moto annuo apparente, transita per tale punto, la Terra viene a trovarsi in corrispondenza dell'equinozio di primavera: il Sole passa "salendo" dall'emisfero celeste australe a quello boreale e ha inizio la primavera astronomica. In poche parole, il punto γ è il punto nel quale il Sole è posizionato il 21 marzo calcolato dalla posizione della Terra. al cerchio orario passante per l'astro, misurato in senso antiorario a partire dal primo punto d'Ariete stesso, in ore, minuti e secondi.
    Visti dalla Terra, eccezion fatta per i poli, gli oggetti aventi un'ascensione retta pari a 12 ore sono visibili per un tempo maggiore all'equinozio di marzo; quelli invece con ascensione retta zero lo sono all'equinozio di settembre. In quelle date a mezzanotte quegli oggetti raggiungeranno il loro punto più alto nel cielo (passaggio al meridiano); quanto in alto dipende dalla loro declinazione: se hanno una declinazione pari a zero gradi, ovvero si trovano sull'equatore celeste, allora un osservatore posizionato all'equatore terrestre li vedrà direttamente allo zenit.
    L'ascensione retta è normalmente misurata in ore, minuti e secondi dove 24 ore equivalgono a un cerchio completo. Gli astronomi hanno scelto questa unità per misurare l'ascensione retta perché si può misurare la posizione di una stella cronometrando il suo passaggio attraverso il punto più alto del cielo mentre la Terra ruota.




    L'ultimo termine ancora da determinare dell'equazione (5) per il calcolo dello ZHR è il fattore di correzione c: questo parametro permette di correggere il valore dello ZHR in funzione della magnitudine limite osservata rispetto a quella teorica di riferimento, pari +6.5m, che rappresenta la massima possibile per l'occhio umano, senza l'ausilio di alcun strumento ottico. In altre parole si può dire come il numero di meteore realmente osservato con una magnitudine limite lm moltiplicato per il coefficiente correttivo c sia uguale al numero di meteore che si sarebbe potuto vedere con una magnitudine limite di +6.5m; da questa definizione si può quindi scrivere:

    $$ c = { N \over n } \tag{15} $$


    dove N è il numero di meteore sotto un cielo teorico di magnitudine limite +6.5m e n invece rappresenta il numero di meteore realmente osservato. Non potendo in alcun modo determinare quante meteore N si sarebbe potute osservare in condizioni di cielo perfette, risulta necessario trovare un modo alternativo per determinare c: questo può essere tentato attraverso un altro parametro estremamente importante di uno sciame meteorico: l'indice di popolazione dello sciame. L'intera popolazione di meteore appartenente a uno sciame meteorico è composto da particelle di masse differenti, dove le particelle più piccole tendono a essere quelle più numerose; quando osserviamo queste particelle come meteore la differenza tra le varie masse si manifesta più che altro come differenza di magnitudine, visto anche che la velocità di entrata nella nostra atmosfera può essere assunta come uguale per tutte le particelle facenti parte del medesimo sciame. Le differenze di magnitudini osservate possono essere inserite in classi di magnitudini, ovvero si compila una distribuzione di magnitudini. Una classe m di magnitudini è un ben definito intervallo: per esempio m = 0 raccoglie al suo interno tutte le meteore comprese tra le magnitudini -0,5m e +0,5m; il "centro" di questo intervallo è 0m, che determina il nome dell'intervallo o classe. Un osservatore teoricamente perfetto, in grado cioè di osservare tutte le meteore che si presentino in cielo, dovrebbe trovare che il rapporto tra il numero di meteore di ogni classe di magnitudine m + 1 e la classe m è abbastanza costante su m. Questo rapporto è chiamato indice di popolazione e viene indicato come r:

    $$ r = {{ N (m + 1) } \over { N (m) }} \tag{16} $$




    L'indice di popolazione non è costante sull'intera ampiezza delle magnitudini ma vi sono variazioni, anche considerevoli, tra diversi ordini di magnitudini; tuttavia nel campo delle meteore visuali (da m = 6 a 0) può essere assunto come costante, anche in considerazione dell'accuratezza delle osservazioni visuali. Poiché la conoscenza di r rende possibile la determinazione della distribuzione della massa nello sciame meteorico, risulta alla fine essere una delle quantità più importanti. Per le meteore sporadiche, ovvero quelle particelle libere nello spazio interplanetario in prossimità della Terra e non legate ad alcun sciame, r è all'incirca uguale a 3; per gli sciami esso varia da 2 a circa 3.5. Il significato di questi numeri è che la quantità totale di particelle aumenta esponenzialmente andando verso classi di magnitudini più deboli: per fare un esempio nella classe m = 3 ci sono r volte più meteore che nelle classe di magnitudine 2, mentre nella classe m = 4 vi saranno r x r = r2 più meteore. In teoria questo modello è corretto ma, nella pratica, se si osserva una tabella di distribuzione meteore per magnitudini, si trovano sempre cose diverse. La ragione di questa discrepanza risiede nel fatto che qualunque osservatore reale può osservare solo una frazione delle particelle interplanetarie che entrano nella nostra atmosfera e che generano le meteore. Questa frazione dipende principalmente, come già visto, dalla luminosità delle meteore, dalla trasparenza del cielo e, in ultimo ma non certo meno importante, dalla distanza angolare della meteora dal centro del campo osservato. La probabilità di vedere una meteora è chiamata probabilità di percezione p, dove con p = 0.3 si indica ad esempio che solo il 30% delle meteore teoricamente osservabili viene realmente visto.





    Il calcolo per determinare l'indice di popolazione r di uno sciame necessita l'osservazione di una grande quantità di meteore: in uno studio eseguito utilizzando i dati dell'International Meteor Organization è stato possibile accedere a un database contenente una grande quantità di osservazioni di meteore e delle loro magnitudini. Il range delle luminosità era stato suddiviso in quattordici classi unitarie, dalla magnitudine -6 alla +7 e, per ogni classe, sono state conteggiate le meteore osservate: in seguito sono state calcolate le variazioni di magnitudine ΔMi di ogni classe rispetto alla magnitudine limite lm, ovvero:

    $$ \Delta M_i = { l_m - M_i } $$


    Furono così ottenute delle nuove classi di magnitudine ΔMi a cui corrispondevano un numero di meteore pari alla rispettiva classe Mi. A questo punto era stata ottenuta la media pesata [ΔM] utilizzando la formula:

    $$ [ \Delta M_i ] = {{ \sum_{i} { \Delta M_i \cdot N_i }} \over { \sum_{i} { N_i }}} \tag{17} $$


    I dati ottenuti sono stati organizzati in una tabella che permette di ricavare, nota la media delle classi di magnitudine riferite ad una magnitudine limite, l'indice di popolazione r anche attraverso delle operazioni di interpolazione.
    Partendo quindi dai dati osservativi, analizzando la distribuzione di meteore per magnitudine e confrontando le classi trovate con le magnitudini limite è possibile avere un'indicazione sul valore dell'indice di popolazione di uno sciame.




    Quindi, una volta noto l'indice di popolazione r appare possibile proseguire con il calcolo del coefficiente di correzione per la magnitudine limite. Riprendendo in considerazione l'equazione (16) si può quindi ora definire il numero reale cumulativo di meteore Tc come numero reale di oggetti nella classe di magnitudini m e più luminose; quindi Tc(+4) = 20 indica che sono state osservate 20 meteore di magnitudine +4,5m o più luminose. La relazione (16) si trasforma quindi nella:

    $$ r = {{ N (m + 1) } \over { N (m) }} = {{ T_c (m + 1) } \over { T_c (m) }} $$


    che d'altra parte può essere anche scritta come:

    $$ { T_c (m_0 + 1) } = { T_c (m_0) \cdot r } $$


    a questo punto ponendo m0 = 0 magnitudini si trova:

    $$ { T_c (+1) } = { T_c (0) \cdot r } $$
    $$ { T_c (+2) } = { T_c (1) \cdot r } = { T_c (0) \cdot r^2 } $$
    $$ { T_c (+3) } = { T_c (+2) \cdot r } = { T_c (0) \cdot r^3 } $$


    e così via, fino a d arrivare alla formulazione generale:

    $$ { T_c (m) } = { T_c (0) \cdot r^m } \tag{18} $$


    da quest'ultima equazione è possibile calcolare qualsiasi numero cumulativo reale di meteore come quelli di due osservatori perfetti, con p = 1 per qualsiasi magnitudine più luminosa della loro magnitudine limite, che hanno compiuto le osservazioni, il primo con una magnitudine limite lm e il secondo con una magnitudine limite pari a +6.5m:

    $$ { T_c (m - 0.5) } = { T_c \cdot r^{ l_m - 0.5 }} $$
    $$ { T_c (6) } = { T_c \cdot r^6 } $$


    Si consideri che la definizione di classe di magnitudine Tc(6) indica il numero reale di meteore più luminose della magnitudine +6.5m mentre Tc(m-0.5) indica quelle più luminose della magnitudine limite. In questo modo è possibile trovare che:

    $$ {{ T_c (6) } \over { T_c (m-0.5) }} = { r ^ { 6-(l_m-0.5) }} = { r ^ { (6.5-l_m) }} \tag{19} $$


    la parte sinistra di quest'ultima equazione ricorda in qualche modo la parte destra dell'equazione (15) che definisce il coefficiente c ma invece del numero cumulativo reale, si ha il numero delle meteore osservate, sempre cumulative. Così quale è la differenza tra il numero di meteore osservato e quello reale? Quelle osservate saranno evidentemente una certa percentuale di quelle reali: questa percentuale, che può essere chiamata k, viene quindi definita dall'indice di popolazione r e dalla probabilità di percezione p. Poiché p dipende dalla differenza tra la magnitudine della meteora e la magnitudine limite, k non è interessato dalla magnitudine limite: infatti ogni osservatore vede la stessa percentuale k del numero reale di meteore più luminose della magnitudine limite individuale Tc(m-0.5); in questo modo l'indice di popolazione r rimane costante.





    Si è finalmente arrivati alla definizione del coefficiente del fattore di correzione per la magnitudine limite, definito come:

    $$ c = { r ^ { (6.5-l_m) }} \tag{20} $$


    Esistono però delle condizioni abbastanza stringenti affinché la (20) sia valida: innanzi tutto che l'indice di popolazione rr deve essere noto in maniera precisa e costante su tutta l'ampiezza delle magnitudini osservate; poi che la la riduzione della magnitudine limite per le stelle deve essere uguale alla riduzione della magnitudine limite per le meteore.




    Sono stati quindi definiti tutti gli elementi utili al calcolo dello ZHR, che possiamo riassumere con il seguente sistema di equazioni, dove n è il numero totale di meteore osservate, Teff il tempo effettivo di osservazione, al netto quindi di tutte le pause e interruzioni dovute a varie cause; F, z e c vengono definiti da altre equazioni, precisamente e rispettivamente dalla (7), (11) e (20). A loro volta, questi altri tre elementi dell'equazione base (6) possono essere calcolati grazie ad altre equazioni, dove vengono definite alcune altre variabili e parametri.

    $$ ZHR = { n \over T_{eff}} \cdot F \cdot z \cdot c \tag{6} $$


    $$ F = { 1 \over { 1 - k }} \tag{7} $$

    Il parametro F può essere calcolato grazie al valore k, a sua volta definito nell'equazione (8), dove ki è la percentuale di copertura del cielo nell'intervallo i-esimo del tempo ti, ttotal il tempo totale di osservazione: il parametro k rappresenta quindi la percentuale media pesata di copertura del cielo durante l'intero periodo odsservativo. Se il cielo è sempre stato libero la percentuale sarà ovviamente zero e, di conseguenza, il fattore F uguale a 1.


    $$ k = { \sum_{i=1}^n {k_i} \cdot {t_i} \over {t_{total}}} \tag{8} $$


    $$ z = { 1 \over \sin {h_r} } \tag{11} $$

    Il fattore di correzione z si riferisce invece all'altezza del radiante sull'orizzonte o, meglio, alla sua distanza dallo zenit dell'osservatore: l'equazione (6) è infatti valida per una situazione ideale, dove l'osservatore ha il radiante dello sciame di meteore all zenit e che quindi può potenzialmente vedere tutte le meteore dello sciame. Per poter calcolare questo parametro è quindi necessario conoscere l'elevazione del radiante sull'orizzonte, ovvero il valore sin(hr). Questo, a sua volta, può essere calcolato grazie all'equazione (12)


    $$ \sin {h_r} = { \sin{\phi} \cdot \sin{\delta} + \cos{\phi} \cdot \cos{\delta} \cdot \cos{(\theta - \alpha)} } \tag{12} $$

    Pe poter calcolare il valore da inserire nell'equazione (11), la (12) necessita della conoscenza di altri valori come la posizione geografica dell'osservatore, attraverso il valore della sua latitudine φ, la posizione celeste del radiante, ovvero la sua ascensione retta (α) e declinazione (δ) e, infine, il tempo siderale locale (θ) alla metà del periodo osservativo. Se i primi tre parametri possono essere dedotti direttamente da un almanacco astronomico, il quarto necessita di un ulteriore calcolo, affrontabile grazie alle equazioni (13) e (14).


    $$ \theta_G = { 23925,836 + 8640184,542 \cdot T + 0,00929 \cdot T^2 } \tag{13} $$


    $$ \theta = { 0,0027379093 \cdot (24 \cdot d + x ) + x + \theta_G - \lambda } \tag{14} $$

    Queste due equazioni permettono di risolvere il calcolo del tempo siderale locale e vedono il coinvolgimento di un'altra serie di parametri: innanzi tutto il numero di secoli giuliani T trascorsi dallo 0 gennaio 1900; poi nella (14) si trovano, oltre al valore θG appena calcolato, anche il numero di giorni trascorsi dallo 0 gennaio dell'anno in corso (d), il Tempo Universale equivalente del fuso orario locale (in sostanza l'ora di Greenwich nel momento dell'osservazione) codificato come x e λ, ovvero la longitudine dell'osservatore in gradi diviso 15, positiva se a ovest di Greenwich, negativa se a est.


    $$ c = { r ^ { (6.5-l_m) }} \tag{20} $$

    L'ultimo parametro coinvolto nell'equazione (6) è il fattore c cioè la correzione per la magnitudine limite percepita dall'osservatore durante la sessione osservativa: essa dipende anche dall'indice di popolazione r che è caratteristico per ogni sciame e che per le meteore sporadiche vale circa 3. Il parametro lm è la magnitudine limite stellare osservata durante la sessione.















    Le foto di Meteore

     



    Le immagini appresso presentate sono state tutte riprese diversi anni fa con una strumentazione di base, in accordo con lo spirito spartano e minimalista che caratterizza l'osservazione e le riprese fotografiche di meteore, secondo i concetti precedentemente illustrati.
    Tale approccio non è un elemento di vanto ma si tratta di una scelta ragionata: l'intenzione è quella di coinvolgere appassionati di astronomia alla prime armi, con poca esperienza e, soprattutto, privi di strumentazione eccessivamente specializzata; come ripetuto più volte nella presente trattazione, basta una strumentazione di base come macchina fotografica, treppiede fotografico, carta, penna, matite e qualche carta celeste per poter iniziare a lavorare con un programma osservativo sulle meteore.
    Con la progressiva acquisizione di maggiore esperienza, sarà lo stesso osservatore a decidere se evolvere e potenziare la sua strumentazione, seguendo un percorso di crescita parallelo alle sue maggiori capacità osservative e di analisi dei dati. Quanto finora esposto può dare un significativo contributo a fornire le basi pratiche e teoriche per affrontare tematiche via via sempre più complesse e sfidanti.





    La traccia lasciata da una meteora dello sciame delle Perseidi, nella parte superiore dell'immagine. Fu usata una fotocamera Olympus OM-1 con una pellicola B/N da 3200 ISO della Kodak e un obiettivo da 50mm di focale aperto a f/1.8. Sistemata in posa "B", la fotocamera fu stazionata su un cavalletto fotografico in postazione fissa, senza seguire il moto di rotazione terrestre; come testimoniato dall'immagine delle stelle che, con una esposizione di 10 minuti, hanno impressionato la pellicola come segmenti luminosi anziché come punti. Molte delle immagini di meteore sono realizzate con questa semplicissima tecnica, efficiente e poco costosa.
    L'immagine risale a un massimo delle Perseidi degli anni novanta del secolo scorso, quando ancora le camere digitali erano piuttosto rare, di scarsa qualità e con costi molto alti; a quell'epoca non si poteva certo pensare di utilizzarle per le foto astronomiche amatoriali in generale e di meteore in particolare. Se fosse stato possibile utilizzare una moderna camera CMOS settata a una sensibilità equivalente ai 3200 ISO di allora (venivano chiamati ASA), per una esposizione di 10 minuti, avremmo avuto una foto totalmente sovraesposta. Con le pellicole il rischio era abbastanza ridotto, per via di un difetto congenito in quasi tutte le emulsioni commerciali dell'epoca: il difetto di reciprocità: in pratica e riassumendo brevemente, una pellicola fotografica, sia a colori che in B/N, non riusciva a mantenere la sua sensibilità nominale per una durata superiore ai 3 o 4 minuti, scadendo rapidamente dopo tale tempo limite e non riuscendo più a catturare fotoni con la stessa efficienza iniziale. La curva di sensibilità variava da una emulsione a un'altra ed esistevano anche dei sistemi, abbastanza complessi e tutto sommato piuttosto scomodi, per cercare di limitare questo difetto.





    Una luminosa Perseide impressiona la pellicola fotografica ma anche un aeroplano lascia il suo segno. È sempre più frequente trovare tracce di aerei o satelliti nelle foto astronomiche, specialmente in quelle realizzate a grande campo. Una meteora luminosa come quella nella foto riprodotta a lato è relativamente rara da fotografare; essa si distingue, oltre per la notevole brillantezza, anche per il suo aspetto peculiare: una striscia luminosa con esplosione finale, evidenziata dalle maggiori dimensioni finali.





    Il 18 novembre 1999, in una notte piovosa ma interrotta da brevi squarci di sereno, il Grande Carro si innalza al di sopra dell'orizzonte in direzione nord-est, poche ore prima dell'alba. Era la notte dello sciame meteorico delle Leonidi ed era prevista una grande quantità di meteore. Un piccolo manipolo di appassionati, armati di macchine fotografiche, passione e fede incrollabile, si era avventurato nelle isolate campagne dell'entroterra del Nord Sardegna, tra i comuni di Ossi e Florinas; rapide nuvole transitavano in cielo, riflettendo le luci del piccoli borghi poco distanti, testimoniando la costante e spesso invadente presenza dell'uomo. Un picco isolato di una bassa collina si ergeva come fondale di una affascinate scenografia per uno dei più grandi spettacoli del cielo: una tempesta meteorica, la Tempesta delle Leonidi. Una meteora dello sciame delle Leonidi fa la sua apparizione, proprio poco sopra la Stella Polare, immortalata dalla fotocamera su una pellicola in bianco e nero, nella sua parte superiore a sinistra.





    Ancora il 18 novembre 1999, solo pochi minuti dopo la foto precedente, ed ecco che un'altra meteora lascia la sua traccia di luce nella stessa regione di cielo; anche questa meteora appartiene allo sciame delle Leonidi e tutto lascia supporre che sarà una notte tempestosa, sia per l'attività delle meteore ma anche per le condizioni atmosferiche, con nuvole che tornano ad addensarsi minacciando nuovamente pioggia.





    Dopo uno forte scroscio di pioggia che aveva quasi sorpreso gli osservatori, obbligandoli a una precipitosa ritirata all'interno delle loro autovetture insieme all'attrezzatura fotografica, il cielo torna a rassenerarsi in maniera quasi repentina; gli astrofili, che erano rimasti in paziente attesa, riprendono le loro posizioni sul campo e riavviano le sessioni fotografiche. Passano una manciata di minuti ed ecco che un'altra luminosa meteora dello sciame protagonista di quella notte si accende nel cielo, nella parte più a est della costellazione del Leone; la macchina fotografica la immortala nell'angolo in basso a destra della pellicola. Poco più a nord è facilmente riconoscibile la costellazione del Gran Carro (Ursa Major), con il suo manico puntato in direzione est. Altri pesanti strati di nuvole passano rapidamente nel campo di vista della fotocamera, lasciando come un pesante velo sull'immagine.





    L'osservazione e le riprese fotografiche continuano e un'altra luminosa meteora compare proprio vicino alla costellazione del Leone, a brevissima distanza angolare da dove dovrebbe essere posizionato il radiante dello sciame meteorico. La corta scia e la direzione di entrata nella nostra atmosfera, denuncia in maniera più che palese l'appartenza di questa meteora allo sciame delle Leonidi.




    img/meteors/
    Al suo massimo d'intensità l'attività dello sciame delle Leonidi prese l'aspetto di una vera e propria "tempesta meteorica": in questa immagine, in soli tre minuti di esposizione, furono registrate ben sette tracce di meteore, il che già rappresenta un evento molto raro. Visualmente il numero di meteore era elevatissimo e la frequenza con cui apparivano davano all'osservatore, che poneva il suo sguardo direttamente in direzione del radiante, quasi una sensazione di vertigine; meteore di tutti i tipi e luninosità che sfrecciavano dal centro del suo campo visivo verso l'esterno, quasi a replicare una famosa scena del film Guerre Stellari.
    Passando il mouse sopra l'immagine verranno evidenziate le tracce meteoriche, identificate con numeri progressivi.





    Ancora nella magica sera del 18 novembre 1999 un'altro scatto, questa volta centrato sulla costellazione del Sestante: l'immagine riporta le tracce di tre meteore, indicate da numeri; erano quasi sicuramente tre meteore appartenenti allo sciame delle Leonidi. L'immagine rivela gli evidenti danni riportati dalla pellicola per uno sviluppo non corretto, effettuato purtroppo da un laboratorio commerciale sicuramente poco avvezzo al trattamento di immagini così delicate come quelle astronomiche; è anche evidente l'effetto di vignettatura, ovvero la caduta di luce ai bordi dell'immagine, dovuta alla grande apertura usata e alle limitazioni ottiche dell'obiettivo. Questo sgradevole effetto poteva essere corretto con diversi software grafici ma si è invece preferito mostrare l'immagine originale, senza trattamenti, anche per aiutare a capire quanti problemi può incontrare l'astrofotografo nelle sue attività.
    La pellicola TRI-X della Kodak, usata per questa foto e per quella seguente, era considerta all'epoca un punto di riferimento standard per le esposizioni in bianco e nero del cielo, insieme con la celebre Technical Pan 2415, sempre della Kodak. La sensibilità nominale della TRI-X era equivalente agli attuali 400 ISO; un tempo la sensibilità delle pellicole erano però espresse in ASA.





    Circa mezz'ora dopo la foto precedente, alle 02:20 UT sempre del 18 novembre 1999, la fotocamera era puntata sulla regina delle costellazioni invernali: Orione. Una meteora della sciame delle Leonidi lasciò una lunga traccia sul negativo: la distanza angolare dal radiante era notevole per cui era abbastanza ovvio che le tracce delle meteore dovevano essere molto lunghe. È senz'altro possibile che più di una meteora sia stata registrata in questa immagine ma solo per una è stata possibile una identificazione sicura: la traccia è stata evidenziata con il numero 1.
    Le meteore più deboli che riescono comunque a lasciare una debole traccia di sé una volta sul negativo fotografico e ai giorni nostri sul sensore CMOS della nostra fotocamera digitale, possono essere però coperte e scomparire nel rumore del fondo cielo se la posa si prolunga in maniera eccessiva; questa situazione si acuisce in presenza di inquinamento luminoso dovuto a luci artificiali o alla presenza della Luna.









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