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Blog di Astronomia di Massimo Dionisi

Osservando la Luna: 1 agosto 2020

DiMassimo Dionisi

Ago 5, 2020

La Luna, il nostro satellite naturale, riesce sempre in un modo o nell’altro a stupirci ed affascinarci. E’ da sempre protagonista delle nostre notti, ispirando poesie e storie romantiche o di avventura; la amiamo come nostra fidata compagna ma un pò anche la odiamo, perchè la sua presenza ci deruba dell’oscurità necessaria a poter godere delle profondità del cielo notturno, con i suoi grappoli di stelle e le sue deboli e diafane nebulosità. Rassicura il viandante illuminando il suo percorso ma si lega anche a spaventosi miti e leggende: è una parte regno delle fate e un’altra custode di segreti demoniaci. La Luna, nella millenaria storia dell’uomo ha rappresentato un pò tutti i contraddittori aspetti dell’animo umano.

1 agosto 2020, ore 19:33 UT – Foto: Massimo Dionisi

Conquistata dall’uomo più di cinquanta anni fa, rappresenta la prima terra al di là della Terra su cui un essere umano abbia mai posato il suo piede, in quel lontano 21 luglio 1969 con un piccolo passo per un uomo ma un gigantesco balzo per l’umanità. Da quel giorno solo dodici rappresentati della nostra specie hanno calcato la superficie del nostro satellite, con buona pace dei numerosi dubbiosi, scettici e complottisti che arrivano addirittura a negare che la più grande avventura nella storia dell’umanità sia mai avvenuta. Per loro una serie di fatti e prove talmente evidenti e ben noti che ritengo assolutamente superfluo ribadirli in questa sede, ma dimostrare solamente un’infinita pietà per i molti che si fanno convincere da improbabili ed astruse teorie di complotti nascosti e profondo disprezzo per i pochi che ne approfittano per proprio lucro personale. In questi ultimi tempi la Luna sta tornando al centro dell’attenzione, con i nuovi programmi delle maggiori potenze del mondo che mirano alla sua colonizzazione e sfruttamento delle sue risorse naturali. Viene vista anche come trampolino di lancio per mete ben più lontane ed ambiziose, che potranno portare esseri umani ad esplorare direttamente il nostro sistema solare.

Per gli appassionati di astronomia e di fotografia astronomica la Luna è un soggetto un pò particolare: è innegabile che la maggior parte degli astrofotografi la veda come un fastidio, un qualcosa che impedisce di fare le foto “veramente interessanti” per quasi due settimane al mese; stesso atteggiamento da parte di quelli che privilegiano le osservazioni visuali di oggetti deboli come galassie e nebulose, gli astrofili dediti al “profondo cielo” come vengono definiti. Gli osservatori planetari non sono invece molto preoccupati dall’ingombrante presenza lunare, anzi spesso chi osserva i pianeti si dedica anche alle osservazioni visuali e fotografiche del nostro satellite. Da un punto di vista puramente estetico la Luna è sempre capace di regalare stupendi panorami mozzafiato agli astrofili dotati anche di piccoli strumenti; è sicuramente il primo soggetto a cui viene dedicata la massima attenzione da parte dei neofiti che provano per la prima volta il proprio nuovo telescopio ed è dai quei primi sguardi attraverso l’oculare che nasce il senso di meraviglia e di assoluto stupore nello scoprire che quel disco che stava sospeso sulle nostre teste è in realtà un mondo, con le sue vallate, le sue montagne ed i suoi crateri. Sicuramente un mondo morto e freddo ma che, a chi osserva attraverso un telescopio, appare vivo, palpitante ed affascinante.

Lo scorso 1 agosto 2020 anche io mi sono lasciato coinvolgere dall’antico ed irresistibile fascino di Selene, come gli antichi greci chiamavano la Luna, ed ho puntato i miei strumenti ottici su di essa. La scusa ufficiale era quella di iniziare a fare alcuni test sul nuovo telescopio della SkyWatcher che mi era stato appena consegnato: un rifrattore da 120mm di diametro e 600mm di lunghezza focale (f/5). Certo questo strumento è molto più adatto per l’osservazione e, soprattutto, la fotografia di campi stellari abbastanza estesi, quindi la sua vocazione è più quella di essere un “astrografo”, come viene definito nella terminologia degli addetti ai lavori; tuttavia la Luna era lì, il telescopio pronto per i test e quindi, perchè non dare un’occhiata anche alla Luna? Il risultato è quello rappresentato dalla foto di copertina di questo articolo: un test frettoloso e con una messa a fuoco un pò precaria ma che già fa capire il campo abbracciato dallo strumento abbinato ad una fotocamera Canon da 24 megapixels. Però da ripiego del momento, la Luna è diventata protagonista della serata, con una serie di scatti effettuati attraverso il telescopio Schmidt-Cassegrain da 200mm e 2000mm di focale (f/10) e la camera CCD ZWO ASI 120MC utilizzata normalmente per le riprese planetarie. Posta la telecamera al primo fuoco del telescopio essa ha potuto restituire al computer delle immagini piuttosto chiare e limpide, tanto da sollecitarmi alla loro registrazione seguendo le solite tecniche di ripresa planetarie.

Ho quindi utilizzato la foto a grande campo ripresa con lo SkyWatcher 120/600 come riferimento e scattato altre sette foto a maggiore risoluzione con lo Schmidt-Cassegrain da 200mm f/10. Nell’immagine sopra sono riprodotti, in maniera forse un pò approssimativa e mi scuso fin d’ora per l’eventuale scarsa precisione, i campi inquadrati dalle riprese ad alta risoluzione: ad ogni campo è associata una lettera corrispondente alla foto dettagliata. In ognuna di queste foto, presentate nelle immagini seguenti, sono riportate delle etichette che identificano alcune delle maggiori formazioni lunari: possono essere crateri, oppure quelli che vengono chiamati “mari” che sono in realtà delle vaste distese di basalto, scuro come lavagne, oppure ancora “paludi” o laghi”, anch’esse della stessa natura dei “mari” ma di estensione notevolmente inferiore ed anche catene di montagne o picchi isolati. Tutto questo ed ancora di più, compreso nel vasto panorama di strutture geologiche che arricchisce il volto della Luna.

A supporto di questo lavoro ho utilizzato alcuni strumenti indispensabili, oltre ai telescopi: innanzi tutto un buon atlante lunare. La scelta è inevitabilmente caduta sul “Virtual Moon Atlas” nella sua versione 6.0 ma già disponibile nella versione 7.0 e scaricabile gratuitamente su SourceForge. Inoltre sono stati necessari alcuni testi che giudico quasi indispensabili: “La Geologia della Luna”di J.E.Guest e R.Greeley (Newton Compton 1979) e “La Planetologia” scritto dai ricercatori del Reparto Planetologia del Laboratorio di Astrofisica Spaziale del CNR (Newton Compton 1978). Si tratta, invero, di testi forse un pò datati ma a mio avviso fondamentali all’introduzione di alcuni argomenti geologici e di planetologia comparata. Infine, l’onnipresente e sempre utile “Wikipedia”, che riesce bene o male a fornire rapidamente riscontri per una grande varietà di informazioni.

In tutte le foto il nord è in alto ma le direzioni dell’est e dell’ovest dipendono dal telescopio usato e dal riferimento che si vuole assumere. Utilizzando come riferimento la prospettiva vista dalla Terra, nell’immagine a grande campo l’est è a sinistra, quindi l’immagine rispecchia fedelmente quello che possiamo osservare ad occhio nudo; nelle foto a maggiore risoluzione, invece, l’est è a destra, in quanto i telescopi Schmidt-Cassegrain ribaltano orizzontalmente le immagini. Usando però come riferimento la Luna stessa, risulta che l’est lunare si trova a destra nell’immagine a grande campo e a sinistra in quelle scattate a maggiore risoluzione con l’altro tipo di telescopio. L’ovest lunare si troverà quindi a destra in queste ultime immagini.

Nella prima immagine (foto A) il protagonista assoluto è sicuramente il cratere Kepler, che domina l’inquadratura dominando la sezione dell’Oceanus Procellarum inquadrata. Malgrado il nome, l’Oceanus Procellarum non è ovviamente un oceano, così come non sono mari quelli lunari. Furono chiamati in questo modo perchè ai primi osservatori apparivano più scuri delle superfici circostanti colore gesso e ricordavano le acque di mari ed oceani; sono in realtà delle vaste distense basaltiche create a seguito dell’impatto di grandi asteroidi che hanno portato in superficie magma allo stato liquido miliardi di anni fa. Il magma si è raffreddato creando queste superfici: malgrado il loro aspetto liscio sono costellate di crateri, crepacci, vallate, corrugamenti, fratture della crosta, picchi montuosi e catene di montagne. Tornando a Kepler, questo cratere ha un diametro di 31 km ed è praticamente circolare: si presenta di forma ellittica per via della prospettiva con cui lo possiamo vedere dal nostro pianeta. I bordi del cratere si elevano fino ad un’altezza di 2750 metri rispetto al fondo del cratere stesso. La fitta ragnatela di striscie luminose che lo circonda sono dovute alla presenza di materiale proveniente dall’interno della crosta lunare più recente delle formazioni circostanti e dello stesso Oceanus Procellarum; in effetti il cratere si dovrebbe essere formato “solo” 1,1 miliardi di anni orsono, mentre l’età dell’Oceanus Procellarum è stimata tra il 3,8 ed i 3,2 miliardi di anni. Il violento impatto meterico che creò Kepler liberò dall’interno della crosta lunare del materiale che, unitosi ai residui dello stesso asteroide impattante, si distribuì intorno al cratere come una raggiera; l’intera struttura appare luminosa in quanto le radiazioni e il vento solare proveniente dalla nostra stella non hanno ancora avuto il tempo di scurire il materiale stesso che risulta quindi maggiormente riflettente rispetto a quello rimasto sotto l’azione del bombardamento di particelle in superficie per un tempo maggiore e quindi più vecchio in senso geologico. Questo tipo di formazione è abbastanza comune sulla Luna e si possono trovare degli esempi ancora più eclatanti, come il cratere Tycho riportato nella foto E. Altri due crateri piuttosto grandi ripresi nella foto sono Reiner, del diametro di 30 km, e Marius di ben 41 km. Proprio in prossimità di queste due crateri si notano dei corrugamenti sulla superficie basaltica dell’Oceanus Procellarum: sono visibili anche grazie alla particolare angolazione con cui vengono illuminati dalla luce del Sole, quasi radente. Si tratta di un altro fenomeno abbastanza comune della superficie lunare e, in particolare, dei mari lunari, generatesi nel momento del raffreddamento del magma fuoriscito dall’interno lunare. A sud di Kepler si osserva anche il cratere Encke, del diametro di 30 km circa e con rilievi dei bordi piuttosto bassi, non oltre i 750 metri; questo cratere appare  più vecchio di Kepler per cui il materiale più riflettente che lo ricopre deriva dall’impatto di Kepler stesso.

Poco più a sud si trova il campo inquadrato dalla foto B e che rappresenta la parte più meridionale dell’Oceanus Procellarum con il suo limite rappresentato dal grande cratere Gassendi che lo separa dal Mare Humorum ancora più a sud. Il cratere Gassendi è solo ritratto in parte nell’immagine B, al centro dell’inquadratura troviamo invece il grande circolo del cratere Letronne con un diametro di 119 km, molto antico e parzialmente colmato della lava dell’Oceanus Procellarum. Tra i crateri Hansteen e Billy si trovano le montagne Hansteen (Mons Hansteen), un complesso esteso per una trentina di km caratterizzato da cime montuose altamente riflettenti; si pensa si tratti di una estrusione di materiale vulcanico piuttosto recente, senz’altro più giovane dell’omonimo cratere Hansteen la cui età è stimata tra i 3,2 e i 3,8 miliardi di anni. L’intera montagna dovrebbe avere un’altezza pari a circa 1000 metri rispetto alla superficie circostante dell’Oceanus Procellarum.

Ancora più a sud, l’iimagine C permette di avere una visione completa del cratere Gassendi, esteso per un diametro di ben 111 km e rivela finalmente il Mare Humorum, di forma praticamente circolare ed esteso per ben 380 km. Il cratere Gassendi è parzialmente riempito dal magma fuoriuscito dalla crosta lunare a seguito della formazione del Mare Humorum ed è quindi molto antico; sul suo bordo nord è presente un altro cratere, molto più recente, chiamato Gassendi A di 33 km di diametro. Sul bordo sud, invece, è presente all’interno del cratere una struttura definita come “dorsum” (cresta) ovvero una struttura geologica simile ad una cresta, allungata e sopraelevata rispetto al terreno circostante; visibile nell’immagine come la zona più scura nella parte più meridionale del cratere. Ancora all’interno di Gassendi sono presenti altri piccoli crateri dai bordi molto riflettenti, colline ed una estesa “rima” (frattura) della lunghezza complessiva di 150 km e larga fino a 3 km, di cui una parte è anch’essa visibile nell’immagine. Queste fratture nella crosta lunare sono simili a fenditure e loro esatta origine non è stata ancora del tutto accertata: alcune di loro sembrano strettamente legate ai flussi di lava, per cui potrebbe trattarsi di fiumi o canali magmatici che si abbassano e collassano rispetto al terreno circostante quando il magma si raffredda, in altri casi si tratterebbe di tunnel di lava sotterranei che rimangono vuoti e crollano al termine dei fenomeni magmatici; abbiamo poi le “rimae rettilinee” che dovrebbe trattarsi di veri e propri “graben” ovvero fosse tettoniche e che si formano quando una placca tettonica affonda sotto un’altra. Tutte e tre queste tipi di “rimae” sono presenti non solo sulla Luna ma anche sugli altri corpi rocciosi del sistema solare: pianeti come Marte e Venere e i satelliti dei pianeti giganti, a testimonianza che si tratta di un fenomeno geologico generale e comune che può interessare qualunque corpo roccioso. Il Mare Humorum è il risultato di un grande impatto con un asteroide avvenuto circa 3,8 miliardi di anni fa: lo strato di basalto che lo compone è spesso fino a 3 km e al suo centro è stata rilevata un’anomalia gravitazionale dovuta ad una concentrazione di massa (mascon) nascosta sotto la superficie. Sull’intero bordo occidentale del Mare si sviluppano poi delle serie di formazioni geologiche interessanti, come “Rupes” (scarpate) e “Rimae” (fratture) alcune delle quali anche intuibili nella foto pubblicata.

La foto D, ancora più a sud, propone in evidenza il grande cratere Schickard del diametro di ben 227 km e di forma circolare proprio a ridosso della linea del terminatore (linea che divide il giorno dalla notte lunare). Ovviamente il cratere appare molto ellittico per via della prospettiva con cui lo osserviamo dalla Terra, posto quasi sul bordo della faccia della Luna rivolta verso il nostro pianeta. Altre interessanti formazioni geologiche della regione sono la Lacus Excellentiae, la Lacus Timoris e la Palus Epidemiarum, dal nome assai poco ben augurante.

Pienamente illuminato dal Sole il cratere Tycho domina non solo la foto E ma anche l’intero emisfero sud lunare, specie nei periodi prossimi alla Luna Piena. L’imponente raggiera luminosa che si diparte da esso è il suo segno distintivo ed è dovuta, come già accennato parlando di Kepler nella foto A, a materiale più recente eiettato dall’interno della crosta lunare in seguito all’impatto catastrofico di un corpo asteroidale. Tycho ha diametro di 86 km e i suoi bordi raggiungono i 4800 metri di altezza rispetto al fondo del cratere. Al centro è chiaramente visibile una montagna con tre picchi distinti alta circa 1500 metri. L’età di questo cratere è di poco più di 100 milioni di anni, quindi relativamente recente e si pensa che l’asteroide che lo ha creato impattando con la superficie del nostro satellite appartenesse alla stessa famiglia di oggetti dell’asteroide che presumibilmente contribuì all’estinzione dei dinosauri 65 milioni di anni fa. Come curiosità si deve ricordare che il misterioso monolito protagonista del romanzo di Arthur C. Clarke e dell’omonimo film “2001 Odissea nella Spazio” di Stanley Kubrik si trovava sepolto al di sotto di Tycho e che viene riporatato alla luce in seguito della scoperta dell’anomalia magnetica (TMA-1) ad esso collegato. Una volta che gli scienziati ed astronauti americani lo disseppeliscono, il monolito esposto per la prima volta alla luce del Sole dopo tre milioni di anni lancia nello spazio un segnale di allarme per l’intelligenza aliena che lo aveva posto sulla Luna con la funzione di sentinella.

Con la foto F lasciamo decisamente l’emisfero sud lunare, densamente craterizzato, e ci dirigiamo in prossimità del polo lunare nord. L’immagine inquadra una delle regioni più caratteristiche ed interessanti della Luna: la parte settentrionale del Mare Imbrium con il grande cratere Plato fino al grande bacino della Sinus Iridum. Plato ha un diametro di 101 km e le pareti che formano i bordi del cratere raggiungono un’altezza di 2000 metri nella parte ad est, mentre ad ovest queste sono parzialmente crollate. All’interno del cratere sono avvenuti, in passato, dei fenomeni peculiari chiamati “Fenomeni Lunari Transienti” (TLP: Transient Lunar Phenomena) come lampi di luce e formazione transitorie di nebbie. Io stesso ho avuto la fortuna di assistere ad uno di questi fenomeni sotto forma di una nebbia nella parte orientale del cratere che rifletteva in modo anomalo la luce del Sole nel gennaio 1983. Una possibile spiegazione dei TLP è che si tratti di gas che fuoriesce da sacche esistenti sotto la crosta lunare, in seguito a delle fratture causali che si possono generare a causa delle notevoli escursioni termiche nel passaggio dalla notte al giorno. In altri casi è possibile che si tratti di riflessi o giochi di luce causati da zone della superficie con diversa riflettività.In ogni caso il fenomeno dei TLP è accertato e verificato anche dalla comunità scientifica, il problema è che si tratta di eventi piuttosto rari e transitori; manca quindi una casistica per poter analizzare il fenomeno nel dettaglio. Immediatamente a sud di Plato, ben all’interno del Mare Imbrium, si trova il picco isolato di Pico che si estende per circa 25×15 km e raggiunge un’altezza di 2400 metri rispetto alla pianura circostante. Questa montagna isolata fu usata come scenario ancora una volta da Arthur C. Clarke nel suo romanzo “3001, Odissea Finale”, il logico seguito di “2001, Odissea nello Spazio”, come sede del nascondiglio dove l’umanità aveva relegato tutti i virus e batteri nocivi conosciuti, insieme a tutti i virus informatici mai concepiti. D’altra parte anche il cratere Plato è stato usato come “location” nella serie fantascientifica “Spazio 1999”: è all’interno di questo cratere che viene infatti dislocata dalla sceneggiatura la Base Lunare Alpha. Andando in direzione ovest e mantenendosi sul Mare Imbrium, si trovano due piccole catene montuose: Montes Teneriffe estese complessivamente per 111 km con 15 km di larghezza e cime fino a 1450 metri e Montes Recti di 90×25 km e un’altezza fino a 1800 metri. La grande formazione della Sinus Iridum si estende ancora più ad ovest per almeno 400 km in lunghezza e 260 in larghezza, delimitata a nord dal cratere Bianchini e a nord-ovest dalla catena montuosa dello Jura (Montes Jura). Ancora più a nord il territorio è segnato dalla presenza del Mare Frigoris.

L’ultima foto, identificata dalla lettera G, propone la zona del polo nord lunare con alcuni grandi crateri visti in prospettiva e delimitati dal Mare Frigoris posto proprio subito a nord di Plato.

Con questo termino, almeno per il momento, questa specie di viaggio sulla superficie della Luna. E’ stato un percorso abbastanza sommario in cui sono stati mostrati solo una piccola quantità di panorami ed elencati solo un numero davvero esiguo di caratteristiche. La Luna è un mondo complesso e variegato, un vero e proprio paradiso per i geologi e fonte inesauribile di argomenti interessanti. Tanto vicina al nostro mondo eppure ancora così poco conosciuta, anche dagli astrofili che spesso tendono a pò a snobbarla. Vale forse la pena ricordarsi di lei e provare a conoscerla meglio, approfondendo magari qualcuna delle tante tematiche legate alle ricerche che possono ancora essere condotte dagli appassionati di astronomia; oppure semplicemente per godersi panorami alieni, approfittando della sua presenza nei nostri cieli e dell’impossibilità di poter osservare i deboli oggetti del profondo cielo. In ogni caso ne sarà valsa la pena.

 

Massimo Dionisi

Sassari, 5 agosto 2020.

 

 

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